Il 7 gennaio il governo statunitense ha formalmente accusato i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) di aver commesso un genocidio in Sudan e ha imposto delle sanzioni contro il loro capo, Mohamed Hamdan Dagalo.

“L’accusa di genocidio si basa sulle notizie di uccisioni sistematiche e di stupri mirati legati all’origine etnica delle vittime”, ha affermato in un comunicato il segretario di stato statunitense Antony Blinken.

È la nona volta che gli Stati Uniti denunciano formalmente un genocidio, a partire dall’olocausto durante la seconda guerra mondiale.

Da allora Washington ha denunciato genocidi in Bosnia Erzegovina, in Ruanda, in Iraq e nella regione sudanese del Darfur, oltre che in occasione di attacchi alle minoranze, come quelli condotti contro gli yazidi in Iraq, i rohingya in Birmania e gli uiguri in Cina.

Gli Stati Uniti hanno ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio, che impone agli stati firmatari di punire i responsabili.

La Convenzione, entrata in vigore nel 1951, definisce il genocidio come “atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.

Washington ha anche annunciato delle sanzioni contro Dagalo per “il suo ruolo nelle atrocità commesse contro il popolo sudanese”.

Sono state sanzionate anche sette aziende accusate di aver finanziato o fornito armi alle Rsf, “aggravando il conflitto in Sudan”.

“Le nostre azioni contro le Rsf e Dagalo non implicano però un sostegno alle forze armate sudanesi”, ha sottolineato Blinken, aggiungendo che “entrambe le parti sono responsabili delle violenze e delle sofferenze della popolazione”.

La guerra civile in Sudan, scoppiata nell’aprile 2023, ha causato decine di migliaia di morti e più di undici milioni di sfollati, 3,1 milioni dei quali hanno lasciato il paese. La crisi umanitaria in corso è una delle più gravi della storia recente.

Sia l’esercito, guidato dal capo della giunta militare Abdel Fattah al Burhan, sia le Rsf sono accusate di crimini di guerra per aver deliberatamente preso di mira i civili e bloccato gli aiuti umanitari.

Secondo le Nazioni Unite, più di trenta milioni di persone hanno bisogno di aiuti dopo quasi due anni di conflitto.