L’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza ha causato 970 morti in quarantott’ore, secondo un nuovo bilancio fornito il 19 marzo dal ministero della salute di Hamas.

Due persone, tra cui un impiegato dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i servizi e i progetti (Unops), sono rimaste uccise nell’attacco a un edificio dell’Onu a Deir al Balah.

Migliaia di palestinesi sono in fuga dalla parte nord del territorio, costretti all’ennesimo esodo dall’inizio della guerra.

“Tanto vale che Israele sganci una bomba nucleare su Gaza, non ce la facciamo più”, ha dichiarato tra le lacrime all’Afp Ahlam Abed, una sfollata del campo di Al Mawasi, nel sud della Striscia di Gaza.

Hamas si è detto disponibile a riprendere i negoziati con Israele, pur chiedendo il rispetto dell’accordo originario di tregua.

“Non poniamo condizioni per i negoziati, ma la comunità internazionale dovrebbe costringere Israele ad applicare la seconda fase della tregua, rispettando i patti”, ha dichiarato Taher al Nounou, uno dei leader del gruppo palestinese.

Il 18 marzo, rompendo una tregua che durava da due mesi, Israele ha condotto alcuni degli attacchi aerei più letali dall’inizio della guerra, affermando che la ripresa dell’offensiva “è indispensabile per ottenere la liberazione degli ostaggi”.

Lo stesso giorno il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha avvertito che “la nuova offensiva è solo all’inizio” e che “d’ora in poi eventuali negoziati si svolgeranno sotto le bombe”.

I disaccordi tra Israele e Hamas riguardano le modalità di prosecuzione della tregua. Dopo la scadenza della prima fase, il 1 marzo, Hamas chiedeva di passare alla seconda fase dell’accordo, che prevede un cessate il fuoco permanente, il ritiro completo israeliano dalla Striscia di Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi.

Israele, però, puntava a una proroga della prima fase della tregua fino alla metà di aprile e, per passare alla seconda fase, chiedeva la demilitarizzazione totale di Gaza e la restituzione di tutti gli ostaggi. Per fare pressione su Hamas, aveva anche bloccato la consegna degli aiuti umanitari.

Gli attacchi aerei del 18 e del 19 marzo, condotti “in coordinamento” con gli Stati Uniti, secondo Israele, hanno suscitato profonda indignazione nei paesi arabi, in Iran e in Europa.

Manifestazione di protesta a Gerusalemme

In Israele migliaia di persone hanno partecipato a una manifestazione di protesta a Gerusalemme, contestando a Netanyahu di voler continuare la guerra e di mettere a rischio la vita degli ostaggi.

Delle 251 persone rapite durante l’attacco senza precedenti di Hamas del 7 ottobre 2023, 58 si trovano ancora a Gaza, 34 delle quali sono state dichiarate morte dall’esercito israeliano.

Intanto, il 18 marzo è stato reintegrato nel governo israeliano il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, un esponente di estrema destra che si era dimesso a gennaio in quanto contrario alla tregua.