L’11 aprile i mercati azionari asiatici sono crollati sulla scia di Wall street, un segno di preoccupazione per la guerra commerciale di Donald Trump, in un momento in cui l’Unione europea minaccia di tassare i colossi tecnologici statunitensi.

Dopo la spettacolare inversione di rotta del 9 aprile, a Washington l’imprevedibile presidente degli Stati Uniti ha difeso ancora una volta la sua offensiva commerciale, che avrebbe dovuto favorire la produzione industriale negli Stati Uniti, insistendo sul fatto che si tratta di una “buona cosa”.

Ma di fronte all’incertezza causata da questa politica, i mercati finanziari sono nel panico. Seguendo Wall street, Tokyo è crollata del 4,2 per cento e l’indice della borsa di Seoul è sceso dell’1,18 per cento. Il 10 aprile Wall street ha chiuso in forte ribasso, con il Dow Jones che ha perso il 2,50 per cento e il Nasdaq il 4,31 per cento. Anche i mercati azionari cinesi hanno sofferto, con Shanghai che ha perso lo 0,23 per cento.

I mercati azionari sono rimbalzati dopo che il 9 aprile Trump ha annunciato il congelamento per novanta giorni dei dazi appena imposti a sessanta partner commerciali.

Tuttavia, dall’inizio di aprile, gli Stati Uniti hanno mantenuto una dazio del 10 per cento su qualunque paese e tariffe del 25 per cento su acciaio, alluminio e automobili, in particolare contro l’Unione europea.

Ma Trump, che a 78 anni sta stravolgendo l’ordine economico internazionale, è sereno: “La transizione avrà un costo e porrà dei problemi, ma alla fine della giornata sarà una cosa positiva”, ha assicurato a una riunione alla Casa Bianca.

Il suo segretario del tesoro, Scott Bessent, ha dichiarato di non vedere “nulla” di “insolito” nei mercati, mentre alcuni deputati democratici hanno ritenuto che il presidente repubblicano possa averli manipolati illegalmente: lo accusano di insider trading, visto che ha incoraggiato l’acquisto di azioni poco prima della sua inversione di rotta del 9 aprile.

L’ex magnate dell’immobiliare ha come priorità la Cina. Con un decreto presidenziale, la Casa Bianca ha precisato che il dazio doganale sui prodotti “made in China” sarà d’ora in poi del 145 per cento, cioè del 125 per cento più l’aliquota iniziale del 20 per cento imposta a Pechino per l’accusa di produrre fentanyl, un oppioide responsabile di una grave crisi sanitaria negli Stati Uniti.

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Isolata di fronte all’amministrazione Trump, la seconda economia mondiale ha promesso di “combattere fino in fondo”.

“La porta è aperta ai negoziati, ma questo dialogo deve essere condotto su un piano di parità e sulla base del rispetto reciproco”, ha tuttavia precisato il ministero del commercio cinese.

Altri paesi asiatici, fortemente dipendenti dalle loro esportazioni verso gli Stati Uniti, stanno mantenendo un profilo basso. Come il Vietnam e la Cambogia, produttori tessili e membri dell’Associazione delle nazioni del sudest asiatico (Asean). Entrambi hanno dichiarato che non adotteranno misure di ritorsione.

Anche l’Unione europea ha sospeso la sua risposta, decisione che Trump ha definito “molto intelligente”. L’impetuoso presidente statunitense ha minacciato nuovamente il Messico il 10 aprile con nuovi dazi doganali, in seguito alle tensioni per la condivisione delle acque dei fiumi Colorado e Rio Grande, al confine tra i due paesi. Con le sue tasse sulle importazioni, Trump crede di aver trovato l’arma per rilanciare la produzione industriale negli Stati Uniti, che considera vittima degli effetti dannosi della globalizzazione.