Il 15 dicembre 2016 Frontex, l’agenzia europea per le frontiere esterne, ha accusato le organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo centrale di essere colluse con i trafficanti di esseri umani, attivi in Libia, e di non collaborare con le attività di polizia e di intelligence nelle aree di ricerca e soccorso (Sar). Secondo il rapporto annuale Risk Analysis for 2017, pubblicato dall’agenzia il 15 febbraio, le operazioni di ricerca e soccorso che sempre più spesso si svolgono vicino alle coste libiche, agiscono da pull factor, ossia da fattore di attrazione che incoraggia i migranti a intraprendere la traversata del mar Mediterraneo. Il rapporto ipotizza anche contatti diretti tra le navi di soccorso e gli scafisti a cui viene affidata la guida delle imbarcazioni dai trafficanti.
Il 17 febbraio la procura di Catania, dove si trova la sede operativa di Frontex in Italia, ha aperto un’indagine conoscitiva sulle ong che svolgono attività di ricerca e soccorso nel canale di Sicilia. La procura ha evidenziato in particolare un aumento di piccole organizzazioni impegnate nel salvataggio di migranti.
Le ong hanno respinto le accuse formulate da Frontex e dalla procura italiana affermando di essere al centro di un processo di criminalizzazione, volto a ostacolare il lavoro di organizzazioni indipendenti che controllano quello che sta succedendo in Libia e nel Mediterraneo centrale, soprattutto dopo il memorandum d’intesa stipulato dall’Italia con Tripoli, con l’appoggio dell’Unione europea. L’accordo prevede che la guardia costiera libica intercetti le imbarcazioni dei migranti, le blocchi e le rimandi indietro, incarcerando i migranti nelle prigioni e nei centri di detenzione libici.
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