“L’esercito birmano arrivava ogni giorno, la mattina e la sera. Noi rohingya eravamo terrorizzati e non riuscivamo a reagire”, dice Rosin Aktar, 15 anni. “Una volta i soldati erano circa duecento, ma sono stati in quattro a stuprarmi”.
La popolazione musulmana rohingya in Birmania è storicamente discriminata, e dall’agosto 2017 la persecuzione si è intensificata, con un aumento delle violenze compiute dall’esercito di Naypyidaw. Le associazioni per i diritti umani denunciano migliaia vittime e almeno 700mila rohingya sono scappati nel vicino Bangladesh.
La persecuzione del popolo rohingya secondo le Nazioni Unite equivale a una pulizia etnica, e lo stupro di gruppo è stato identificato come uno degli strumenti per metterla in atto. Per le donne rohingya, inoltre, la fuga in Bangladesh non sempre rappresenta una via d’uscita dalla sofferenza: le ong hanno documentato numerosi casi di stupro anche all’interno dei campi profughi.
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