Parlando della sua Genova, Fabrizio De André diceva che “è una città soprattutto da rimpiangere”, dalla quale te ne vai a vent’anni per cercare lavoro e, nel momento stesso in cui la lasci, non smetti di pensare a lei. Per i Nu Guinea, al secolo Massimo Di Lena e Lucio Aquilina, musicisti partenopei trapiantati da quattro anni a Berlino, Napoli è una cosa simile.

Ed è proprio da un periodo di nostalgia per la città d’origine che è nato il loro album Nuova Napoli, uno dei dischi italiani più interessanti del 2018. Un omaggio accorato, ma anche giocoso, alla musica napoletana degli anni settanta e ottanta. Quella più nota di Pino Daniele, James Senese e Toni Esposito, ma anche quella più sotterranea degli Oro o dei Donn’Anna, band disco funk riscoperte dagli stessi Nu Guinea nei loro pellegrinaggi per mercatini e negozi di dischi del Vomero e finite nella compilation Napoli segreta, curata da Di Lena e Aquilina insieme a DNApoli e Famiglia Discocristiana.

Nuova Napoli è stato composto in Germania, ma registrato in gran parte a Napoli insieme a musicisti del posto come la cantante Fabiana Martone e il sassofonista Pietro Santangelo. I Nu Guinea sono riusciti a rimasticare la tradizione napoletana, creando un ibrido sorprendente, che parte dal prog per arrivare alla musica da discoteca. E hanno avuto, senza farlo apposta, un ottimo tempismo: in un momento storico in cui si parla molto del nuovo suono di Napoli, in cui Liberato e Franco Ricciardi scalano le classifiche italiane, quello che sembrava un album per pochi cultori è diventato un piccolo caso discografico.

Il titolo Nuova Napoli viene dal film No grazie, il caffè mi rende nervoso, una commedia noir del 1982 diretta da Lodovico Gasparini che ha per protagonisti Lello Arena e Massimo Troisi. Il film racconta la storia di un festival, chiamato proprio Nuova Napoli, sabotato dal misterioso maniaco Funiculì funiculà, un fanatico della tradizione convinto che “Napule nun adda cagnà” (Napoli non deve cambiare). Tra i protagonisti del film c’è proprio James Senese, che è anche autore della colonna sonora. E non è un caso che, nel film come nel disco dei Nu Guinea, ci sia un incontro scontro costante tra tradizione e modernità.

I Nu Guinea, che in questi mesi hanno girato l’Europa con i loro dj set, porteranno per la prima volta dal vivo il disco il 26 agosto a Dancity Festival di Foligno (in programma nella città umbra a partire dal 24). Poi il tour proseguirà nel resto d’Italia. Li abbiamo raggiunti al telefono per farci raccontare com’è nato il disco e cosa dobbiamo aspettarci dalla performance.

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Perché il titolo del disco cita il film No grazie, il caffè mi rende nervoso?
Quando componiamo musica cerchiamo sempre di immaginarci all’interno di un mondo diverso da quello in cui ci troviamo. In questo caso abbiamo finto di essere una di quelle band che avrebbero dovuto partecipare al festival Nuova Napoli. Per noi Funiculì funiculà è un personaggio simbolico. Per esempio potrebbe rappresentare la maggior parte delle case discografiche di oggi, che spesso propongono tutte lo stesso suono. Noi invece abbiamo fatto quello che faceva James Senese all’epoca: non abbiamo seguito i canoni della musica contemporanea. Il nostro obiettivo era di omaggiare la tradizione napoletana, senza dover seguire per forza le logiche di mercato. Tra le fonti d’ispirazione del disco, oltre a Senese, ci sono stati anche tanti artisti napoletani meno famosi, come quelli che sono finiti nella compilation Napoli segreta. Alla base del nostro progetto c’è la voglia di andare alle origini della musica da ballare, quindi dentro questo disco ci sono finite influenze diversissime: dal folk delle Antille al boogie nigeriano. Anche perché pensare di fare un disco volutamente “alla Pino Daniele” sarebbe stato un po’ presuntuoso da parte nostra.

Quando sono nati i brani del disco?
Circa due anni fa eravamo in studio a Berlino con Tony Allen, leggendario batterista afrobeat degli Africa ‘70, la band che accompagnava Fela Kuti, per registrare alcuni brani che non abbiamo ancora pubblicato. In quel periodo abbiamo fatto una jam session con degli amici, dalla quale è nato il pezzo Stann fore, una specie di proto-rap. Lì per lì l’abbiamo messo nel cassetto, ma in seguito risentendolo abbiamo capito che funzionava e abbiamo deciso di fare un album su quella falsariga.

Come avete lavorato sui testi?
L’approccio è stato molto spontaneo. Le prime bozze sono state gettate d’istinto da noi due. Successivamente, con la collaborazione di vari amici, che sono venuti a trovarci in studio, queste bozze hanno cominciato a prendere una forma più fluida. Scrivere i testi in napoletano era l’unico modo per esorcizzare la nostra nostalgia per Napoli. L’aiuto di Fabiana Martone è stato essenziale per dare l’ultima smussatura linguistica ai brani. I testi raccontano piccole verità di Napoli, sono uno spaccato della città che ricordiamo. Ddoje facce per esempio descrive le strade del rione Sanità, mentre in Parev’ ajere ci sono alcune immagini della nostra infanzia, come la signora che faceva le pizze fritte sotto casa (e che adesso non c’è più). In altri brani abbiamo fatto un lavoro più approfondito, come in Je vulesse, il cui testo è tratto dalla poesia di Eduardo De Filippo Io vulesse truvà pace.

È giusto definire nostalgiche le canzoni di Nuova Napoli?
Musicalmente non è un disco intenzionalmente nostalgico, anche se si ispira al passato, ma lo è sicuramente dal punto di vista dei temi trattati nei testi. La molla che ha fatto scattare tutto, come dicevamo prima, era che Napoli ci mancava. E ci manca tutt’ora, anche se ogni tanto torniamo.

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Suonare l’album dal vivo non sarà semplice. Come lo presenterete?
Il nostro obiettivo è di farlo suonare in modo simile al disco, anche se non avremo a disposizione gli stessi sintetizzatori che abbiamo usato in studio. Alcuni brani saranno un po’ più lunghi e leggermente riarrangiati. Suoneremo anche qualche inedito e un paio di cover, per esempio Amore dei Chrisma, e alcuni pezzi di The Tony Allen experiments, il nostro disco del 2016 fatto in collaborazione con Tony Allen, dal quale ricevemmo delle registrazioni di batteria originali di alcuni suoi brani storici. Sarà un concerto per ballare, più che un concerto jazz. Con noi sul palco ci saranno quasi tutti i musicisti che hanno partecipato al disco.

Che rapporto avete con la musica napoletana contemporanea? Che effetto vi ha fatto aprire il concerto di Liberato alla rotonda Diaz?
Quella è stata una sorpresa. Quando Liberato ci ha chiesto di fargli da spalla conoscevamo a malapena la sua musica, ma ci ha fatto piacere. La nostra musica è molto diversa dalla sua, ma il suo successo e il fatto che abbiamo suonato insieme dimostra che Napoli si è un po’ risvegliata negli ultimi anni, che non ci sono più confini tra i generi e c’è voglia di sperimentare. Ne siamo felici. Questo disco doveva uscire molto prima, ma ci abbiamo messo più di quello che pensavamo a finirlo. Senza farlo apposta, è uscito nel momento giusto.

Nuova Napoli è piaciuto molto alla critica e ha venduto più del previsto. Vi aspettavate questa accoglienza?
Sinceramente no. Non abbiamo neanche un ufficio stampa e tutta la promozione che abbiamo avuto in Italia è frutto del passaparola. Da un giorno all’altro la nostra casella email si è semplicemente riempita di messaggi.

Il progetto con Tony Allen andrà avanti? Com’è stata l’esperienza con lui negli studi della Red Bull a Berlino****?
Tony Allen è una macchina, registrava dieci o dodici brani al giorno. Durante le pause sigaretta ci raccontava aneddoti sulla musica nigeriana e su Fela Kuti. È stata un’esperienza incredibile. Il lavoro sui brani che abbiamo fatto con lui ovviamente è stato un po’ rallentato dal successo di Nuova Napoli, diciamo che siamo al trenta quaranta per cento. Ma andremo avanti. Se non ci saranno imprevisti, il disco uscirà nel 2019.

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