Nel 2011 il fotografo texano Eli Durst lavora come volontario in un centro di detenzione per immigrati ad Austin, dove scatta ritratti ai richiedenti asilo. Molti di loro vengono dall’Eritrea, un paese che ricordano con amore e nostalgia, ma da cui sono stati costretti a fuggire a causa della siccità e dell’instabilità politica.
Succede così che un giovane fotografo statunitense rimane incuriosito da un posto tanto lontano e di cui in generale non si sente mai parlare a causa della chiusura del governo eritreo nei confronti dei mezzi d’informazione stranieri.
Nel 2015 Durst arriva ad Asmara con l’intenzione di documentarne l’architettura modernista, unica vera eredità della colonizzazione italiana durante il fascismo. Presto scopre però che è vietato fotografare questi edifici. In un certo senso, la censura lo aiuta a mettere da parte un’idea di racconto più ovvia e, lasciandosi suggestionare dal cinema italiano del dopoguerra, si concentra sui piccoli dettagli silenziosi che insieme costruiscono una narrazione più contemporanea della città.
“Asmara somiglia al mondo che ho visto nei film italiani, come quelli di Michelangelo Antonioni”, racconta Durst, e a proposito del regista ferrarese aggiunge: “Mostrava una bellezza sotto cui scorreva sempre una certa tensione, come se tutto stesse per disintegrarsi”.
Il lavoro In Asmara ha vinto il premio Portfolio della rivista statunitense Aperture e sarà in mostra all’Aperture gallery, a New York, fino al 4 febbraio 2017.
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