Col tempo, 1956-2024 è la più grande retrospettiva mai dedicata a Guido Guidi, uno dei protagonisti di quella generazione di fotografi che ha reinventato la rappresentazione del paesaggio, culminata nell’opera collettiva Viaggio in Italia del 1984, curata da Luigi Ghirri.
A ospitarla è il museo Maxxi di Roma, fino al 20 aprile 2025, dopo un’intensa ricognizione dell’archivio del fotografo. I tre curatori, Simona Antonacci, Pippo Ciorra e Antonello Frongia, hanno avuto un ruolo fondamentale nel ricostruire insieme a Guidi il suo processo creativo, espresso negli anni in maniera sempre coerente e radicale, senza compromessi. L’allestimento è segnato dal rigore e dalla semplicità, dettato dalle richieste specifiche dell’autore, come quella di non appendere foto su pareti curve. Alla lunga sequenza cronologica delle foto, più di quattrocento, si aggiungono le teche sotto cui sono esposte le pubblicazioni dell’autore, volumi della sua biblioteca personale e altri materiali d’archivio.
Il titolo Col tempo è un omaggio al dipinto cinquecentesco la [Vecchia](https://it.wikipedia.org/wiki/Vecchia_(Giorgione)) di Giorgione. “Mi sembrava un buon inizio dedicare la mostra a questo pittore, che è un mio amico” dice ridendo, in conferenza stampa. Lo chiamano “maestro” ma dalla celebrazione si ritrae, imbarazzato; “Per favore, mi lasci nell’ombra” dice, citando Carlo Emilio Gadda. Di fatto però Guidi un maestro vero lo è: per tutti i suoi studenti a cui ha insegnato negli anni, per chi è stato accolto nella sua casa-laboratorio-archivio a Ronta, in provincia di Cesena.
Nato nel 1941, fin da ragazzo mostra una particolare abilità nel disegno. Frequenta prima il liceo artistico a Ravenna e poi l’università a Venezia. Architettura, con Carlo Scarpa, Mario Deluigi e Bruno Zevi; appena può corre da altri maestri, quelli esposti nei musei della città, come Piero della Francesca e Andrea Mantegna. Dopo il servizio militare si dedica al disegno industriale e da quel momento, siamo nel 1967, la fotografia diventa il suo interesse principale. Stavolta dietro la cattedra c’è Italo Zannier - fotografo, storico e critico - che lo invita a smorzare eventuali fuochi creativi, per studiare da vicino la grammatica del mezzo fotografico ed esplorarne le sue specificità. Comincia un periodo di sperimentazione, e in una lettera inviata nel 1971 al suo professore, Guidi ha già capito in che direzione vuole andare: “Penso a una f. come processo di conoscenza – non credo a un risultato definitivo – esistono solo delle tappe”.
I segni del linguaggio di Guidi, fatto di riflessioni, prove e ritorni nel corso degli anni, si trovano in luoghi e oggetti quotidiani, che non sembrano degni di attenzione. Il loro posto ideale è la provincia italiana, lontano dai monumenti spettacolari, dal caos e dalla velocità. Guidi ha costruito un vero e proprio modo di vedere, anzi una teoria, con l’osservazione di uno scienziato e la riflessione di un filosofo, senza smettere mai di incuriosirsi e di stupirsi.
A una mostra così imponente è affiancato un altrettanto imponente catalogo, in uscita a gennaio grazie alla collaborazione tra il Maxxi e la casa editrice inglese Mack, che in passato aveva già pubblicato diversi volumi del fotografo.
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