I Black Midi sono condannati a restare sempre in sospeso tra l’entusiasmo e lo scetticismo della critica e del pubblico. Il loro esplosivo album di debutto, Schlagenheim, è uscito nel 2019 ed è stato elogiato per come reinterpretava l’estetica noise, post-punk e no wave. Nel suo secondo lavoro il trio sposta l’attenzione sulla sua abilità con gli strumenti, scivolando verso il prog e il jazz mentre racconta storie sulla disperazione, il delirio e la distruzione. Il pezzo iniziale John L guida la processione, con i suoi riff frenetici ed esplosivi. Geordie Greep canta gracchiando con la sua voce sommessa come se fosse seduto accanto a un falò. Poi in Marlene Dietrich, un pezzo più gentile in stile bossa nova, diventa un croo­ner e si crogiola nell’atto di recitare un dramma. È la giusta evoluzione: questo disco è un vortice di stati d’animo, dai riff funkeggianti di Hogwash and balderdash al math rock di Slow. È una parata bizzarra e febbrile. Al diavolo le mezze misure. Tayyab Amin, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati