Amina è una madre single che vive nella periferia di N’Djamena, capitale del Ciad, insieme alla figlia di 15 anni, Maria. Come in altri suoi film Haroun racconta la loro vicenda con un approccio calmo, silenzioso. I paesaggi urbani parlano da soli, i silenzi calcolati e le espressioni del viso dei personaggi dicono molto più dei dialoghi. Amina scopre che Maria è incinta e per questo è stata espulsa da scuola. Il confronto tra madre e figlia è duro. La ragazza vuole abortire, ma la madre è contraria. Le scene tra di loro sono crude e realistiche. Haroun evita enfasi e sentimentalismi e la gravidanza diventa un canale attraverso cui le due donne possono cementare la loro relazione. La questione su come abortire in un paese dove è legale ma praticamente ed economicamente impossibile occupa il resto di un film in cui la solidarietà tra donne molto diverse tra loro sembra essere l’unica ancora di salvezza. Lovya Gyarkye, The Hollywood Reporter

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1418 di Internazionale, a pagina 116. Compra questo numero | Abbonati