Si chiama Mingo, diminutivo ridicolo di Domingo, ma vuole essere chiamato Ringo, come John Wayne in Ombre rosse di John Ford. Ha compiuto quindici anni, è un figlio adottivo e ha appena perso un dito nel laboratorio di gioielli dove lavora, ma sogna di diventare un pianista. Niente è come sembra, o come le persone vorrebbero che fosse, nel 1948. Nella prima scena di Calligrafia dei sogni, una donna disperata giace sui binari del tram, ma non sono altro che due pezzi di rotaia dove il tram non passa più. Victoria Mir, la tentata suicida, si definisce anche “kinesiologa e kiromassaggiatrice”, ma lavora come guaritrice a casa sua e prepara unguenti con le erbe che raccoglie sulla Montaña Pelada. Era la moglie del sindaco del quartiere falangista, che si è suicidato; il suo amante, Benito Alonso, in passato è stato un calciatore ma ora è un evanescente signor nessuno con pochi scrupoli, come lo sono quasi tutti i personaggi del romanzo. Niente è come sembra, ma è ancora peggio nel “culo del mondo” – il narratore lo ripete più volte – che era all’epoca Barcellona. Ma Ringo avverte presto l’instabilità fantasmatica di ciò che lo circonda: “Come gli succede spesso nei sogni, percepisce in tutto ciò che accade qui un misto di verità e di assurdità”. È la sua frase chiave, se aggiungiamo agli ingredienti anche un senso impotente di tragedia e un umorismo rassegnato. Juan Marsé ha capito che affidarsi alla memoria significa poggiare su una materia molto fragile che il tempo e l’egoismo deformano inesorabilmente. Romanzo dopo romanzo, ha scoperto che la memoria è sempre meno precisa. Ma sa anche che chi racconta ha in mano il potere. Forse nella mutilazione del ragazzo, il testimone principale, c’è qualcosa di simbolico. Perdere il dito è stata una rinuncia al suo sogno e un’autopunizione, ma attraverso di loro si è impossessato del suo vero destino: avere il diritto di raccontare. È un diritto che bisogna meritarsi. Juan Marsé lo fa da più di mezzo secolo e, naturalmente, Ringo ha molto di lui. Non è un romanzo autobiografico, ma chiunque conosca i racconti dello scrittore direbbe che si tratta di un nuovo distillato di autobiografia in forma di romanzo. José-Carlos Mainer, El País
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Questo articolo è uscito sul numero 1429 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati