Kamo Gigoyan sognava di diventare un cosmonauta, ma nell’Armenia sovietica per riuscirci avrebbe dovuto entrare nell’armata rossa, così scelse la ricerca. “Osservando il cielo possiamo scoprire se una stella è una gigante o una supergigante, dove si trova, la sua distanza dalla Terra e perfino la sua temperatura”, spiega entusiasta Gigoyan, che è astronomo all’osservatorio di Byurakan. Lo scienziato, 63 anni, ama condividere le sue conoscenze. Suo figlio Karen, 22 anni, è più discreto ma ha la stessa sete di sapere. Nel luglio 2021 si è unito al gruppo di ricerca del padre come studente di astrofisica. L’osservatorio sul monte Aragats, un tempo fondamentale per gli studi spaziali armeni, oggi sopravvive grazie a dodici “giovani” scienziati. “Ce ne vorrebbero trenta o quaranta per mantenere un buon livello di attività e fare dell’Armenia un centro importante per la ricerca astrofisica”, afferma Areg Mickaelian, il direttore del sito.
Prima della caduta dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991, il regime, in feroce competizione con gli Stati Uniti nella corsa alle stelle, investiva miliardi di rubli nella scienza e in particolare nell’astrofisica. “Gli stipendi non erano molto alti per noi giovani scienziati, ma avevamo delle prospettive”, dice Mickaelian. Il direttore dell’osservatorio di Byurakan è entrato nell’istituzione due anni prima che il regime crollasse. Nel 1988 c’erano stati i primi scontri tra armeni e azeri, legati alla questione dell’indipendenza della regione del Nagorno Karabakh. All’indomani della dissoluzione del blocco sovietico, e dopo la prima guerra nel territorio conteso, l’Armenia dovette affrontare una grave crisi economica e i finanziamenti per la scienza si fermarono bruscamente. Così gli scienziati espatriarono o cambiarono lavoro.
Oggi, nel paese non hanno un particolare prestigio sociale. “Un giorno stavamo organizzando una festa e quando il ristoratore ha saputo del nostro lavoro ci ha chiesto se avevamo abbastanza soldi per pagare”, racconta Hripsime Mkrtchyan, una fisica della Cosmic ray division (Crd), che registra e studia lo spettro energetico dei raggi cosmici e l’accelerazione delle particelle. È grazie a questo tipo di misurazioni che è stata determinata l’età dell’universo: circa 13,7 miliardi di anni.
Attualmente solo una giovane donna ha fatto richiesta per unirsi alle squadre della Crd, le cui stazioni di raccolta dati nella regione – Nor-Amberd, a duemila metri, e Aragats a 3.200 metri – sono ormai l’ombra del loro antico splendore. Delle centinaia di macchinari che una volta erano in funzione, solo sedici sono in uso. Una foresta di rilevatori arrugginiti, appollaiati a diversi metri dal suolo. Per far funzionare il sito ogni mese sono necessari due ingegneri e un cuoco.
L’arrivo di internet, in una struttura che sembra ancora ferma all’epoca sovietica, è sia una finestra sul ventunesimo secolo sia occasione per uno scontro generazionale.
“I social network viziano i giovani. Il livello degli studenti è molto basso. Era molto meglio all’epoca sovietica”, si lamenta Ashot Chilingarian, direttore del Crd. Il fisico è nostalgico: “La mia generazione, quella cresciuta in Unione Sovietica tra gli anni cinquanta e settanta, era idealista. Volevamo migliorare il nostro paese ed esserne orgogliosi. Ma ora è tutto diverso”. ◆
Alexis Pazoumian
è un fotografo e documentarista francoarmeno. Vive a Parigi.
Morgane Bona è una giornalista multimediale che vive a Parigi.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1440 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati