Nessun italiano ha mai votato per Mario Draghi, ma a quanto pare molti lo farebbero. Il presidente del consiglio ha un indice di gradimento del 65 per cento. La ragione del suo successo sta nell’insolito senso di stabilità e calma creato dall’ex capo della Banca centrale europea. Il piano proposto dal governo italiano per la ripresa economica è stato finanziato con entusiasmo dalla Commissione europea. Tuttavia questo interludio si avvia alla conclusione. Nel 2023 si terranno le elezioni legislative, e alla fine di gennaio bisognerà eleggere il nuovo presidente della repubblica. Silvio Berlusconi, 85 anni, vorrebbe quella carica, ma il favorito è Draghi. La sua uscita di scena, però, indebolirebbe il governo e aumenterebbe la probabilità di un ritorno anticipato alle urne, con i populisti di destra in vantaggio. Per questo in molti nel centrosinistra vorrebbero che Draghi restasse il più a lungo possibile alla guida del governo.
L’Italia in generale e il centrosinistra in particolare sono diventati dipendenti da Draghi. Non c’è dubbio che un governo di destra fortemente nazionalista sarebbe disastroso per la ripresa dell’Italia e per il suo ruolo a Bruxelles, ma Draghi, per quanto qualificato e bravo, non dovrebbe essere considerato il principale scudo contro questa eventualità.
La polarizzazione che ha caratterizzato la politica italiana nell’ultimo decennio può essere risolta solo attraverso il voto. Nell’autunno del 2021 il Partito democratico (Pd) ha ottenuto un buon risultato alle elezioni amministrative, approfittando anche dell’alleanza con il Movimento 5 stelle. Ma per completare la rinascita, la sinistra italiana dovrà andare oltre la base formata dagli amministratori locali. In Italia è arrivato il momento del ritorno della politica tradizionale. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1443 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati