Mezquite, un luogo dove non si vorrebbe mai tornare, è la cittadina al centro del romanzo La custode della scrittrice e giornalista venezuelana Karina Sainz Borgo, è un luogo che risuona nell’immaginario collettivo del suo paese. Somiglia molto a quella frontiera arida, estenuante e senza speranza attraverso la quale sono fuggiti milioni di venezuelani, partiti caricandosi sulle spalle il loro passato e le loro illusioni. La custode è un romanzo che non ha paura di essere un romanzo. Di costringerti a dormire insieme alla protagonista, Angustias Romero, in un cimitero. Di vedere il volto delle tenebre o della violenza assoluta, quello di un uomo o quello di un cane che abbaia di rabbia, che a volte finiscono per essere la stessa cosa, e delle conseguenze di dover lasciare forzatamente un paese – il primo? – per cercare un futuro migliore. “Arrivai a Mezquite perché cercavo Visitación Salazar, la donna che ha seppellito i miei figli e mi ha insegnato a seppellire quelli degli altri”. Comincia così il romanzo, per portarci poche righe dopo in quella landa desolata in cui si entra passando davanti a un cartello con la scritta a lettere cubitali dipinta con un pennello: “El tercer país”, il terzo paese. “Un cimitero senza legge dove andavano a finire i morti che Visitación Salazar seppelliva in cambio di un’offerta, e a volte nemmeno di quella. Quasi tutti quelli che giacciono lì sono nati e morti nella stessa data. Le loro misere tombe avevano scritte scarabocchiate sul cemento fresco: la grafia incerta di chi non riposerà mai in pace”. L’elemento femminile, colonna portante del romanzo, s’incarna in figure che “tirano avanti” di fronte agli sconvolgimenti della vita: Angustias Romero e Visitación Salazar, a cospetto di uomini deboli e codardi, come il sindaco di Mezquite, Aurelio Ortiz, o il suonatore di fisarmonica Jairo Domínguez. È il ritratto di una società matriarcale della cultura popolare, e non così popolare, venezuelana. La custode ci avvicina a un paese che ha perso la sua identità, in cui la dignità della vita è ridotta a ottenere una sepoltura. È un’opera sostenuta dal mistero che fa andare avanti l’essere umano pur conoscendo il suo tragico destino: la morte.
Anna Carolina Maier, Letras Libres
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Questo articolo è uscito sul numero 1446 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati