In settant’anni di carriera Ruggiero Ricci (1918-2012) ci ha lasciato più di cinquecento dischi. Quelli usciti per la Decca sono fondamentali. In venti cd troviamo raccolte le registrazioni che ne forgiarono la leggenda, a cominciare dalle due integrali (1950 e 1959) dei Capricci di Paganini, nei quali il violinista statunitense unisce un virtuosismo inaudito a uno sbalorditivo sprezzo del pericolo. Le stesse virtù sfavillanti sono nei concerti dello stesso Paganini e di Saint-Saëns, Sarasate e Lalo. Eccezionali anche quelli del grande repertorio (Beethoven, Čajkovskij, Mendelssohn, Sibelius, Bruch, Dvořák, Prokofev e Chačaturjan). Le sonate sono altrettanto riuscite. Troviamo due Beethoven con Friedrich Gulda, un’inedita integrale di Brahms con Julius Katchen, e poi Strauss, Prokofev e le sei sonate progressive di Weber con Carlo Bussotti: tutte esecuzioni nelle quali Ricci è sempre straordinariamente espressivo senza mai diventare manierato. Nei pezzi brevi da puro virtuoso (Wieniawski, Bazzini o ancora Paganini) ancor più della tecnica trascendentale colpisce la sfacciata facilità d’esecuzione. Talento sconfinato anche nel repertorio per violino solo (Bach, Bartók, Prokofev, Hindemith, Stravinskij). È un cofanetto imperdibile, una summa enorme e affascinante, finora quasi impossibile da riunire.
Jean-Michel Molkhou, Diapason
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Questo articolo è uscito sul numero 1453 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati