Il 28 marzo a Sde Boker, un kibbutz nel deserto nel sud d’Israele, si sono riuniti per la prima volta i ministri degli esteri di Israele, Bahrein, Marocco, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, insieme al segretario di stato statunitense Antony Blinken (nella foto, i partecipanti al vertice). Per il New York Times, l’incontro evidenzia “un grande riallineamento delle alleanze mediorientali”. I motivi che lo hanno favorito sono “i timori condivisi sul nucleare iraniano; le preoccupazioni comuni sul ritiro della presenza statunitense in Medio Oriente; il desiderio di migliorare i legami economici, militari e commerciali; e la diminuzione dell’impegno di alcuni leader arabi per uno stato palestinese”. Bahrein, Marocco ed Emirati hanno normalizzato i rapporti con Israele nel 2020, mentre l’Egitto era stato il primo nella regione a farlo nel 1979. Su Haaretz Sheren Falah Saab scrive che l’incontro “non interessa la nuova generazione di palestinesi, giovani uomini e donne che hanno perso la speranza nei loro leader e nella politica occidentale e araba, che continua a insabbiare i veri problemi”. Lo stesso 28 marzo il re di Giordania Abdullah II ha visitato il presidente palestinese Abu Mazen a Ramallah, in Cisgiordania, per la prima volta dal 2017. Il giorno prima anche Blinken aveva avuto un colloquio con Abu Mazen, a cui aveva ribadito il sostegno statunitense per la soluzione dei due stati. Intanto Israele “affronta una crisi della sicurezza”, scrive Haaretz. In una settimana sono stati commessi tre attentati, con undici morti. La notte del 27 marzo due arabi israeliani hanno ucciso due poliziotti a Hadera, nel nord del paese, nel secondo attacco rivendicato dal gruppo Stato islamico dopo quello a Beer Sheva il 22 marzo. Il 29 marzo altre cinque persone sono morte a Bnei Brak, un sobborgo ultraortodosso di Tel Aviv. L’assalitore, ucciso sul posto, è stato identificato come un palestinese di 26 anni. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1454 di Internazionale, a pagina 27. Compra questo numero | Abbonati