Quando si parla di demografia o di debito pubblico l’Italia viene spesso paragonata al Giappone. Ha il secondo tasso di fecondità più basso d’Europa, pari a 1,2 figli per donna. La popolazione diminuisce dal 2015. La riforma delle pensioni, varata dal governo Monti tra il 2011 e il 2013, è stata in parte ribaltata, con il risultato che l’Italia è lo stato dell’Ocse che spende per le pensioni la percentuale più alta del pil. Anche i costi per i servizi all’infanzia sono alti. I politici sono preoccupati: lo dimostra la decisione di Giorgia Meloni di scegliere come ministra della famiglia una conservatrice cattolica, Eugenia Maria Roccella, e di aggiungere la parola “natalità” al nome del ministero.
Tradizionalmente l’Italia è un paese di emigrazione e non di immigrazione, ma ora le cose sono cambiate. Alfonso Giordano, esperto di demografia dell’università Luiss di Roma, sostiene che l’Italia non è capace d’integrare gli immigrati. È ancora in vigore il principio dello ius sanguinis (diritto di sangue), per cui è italiano chi nasce da almeno un genitore che è cittadino italiano. Quindi anche ai figli degli immigrati nati in Italia può essere negata la cittadinanza. Secondo Giordano, un maggiore coordinamento europeo nella gestione dell’immigrazione irregolare potrebbe favorire quella legale. E per molti economisti, un aumento dell’immigrazione è necessario.
Un altro effetto del declino demografico è lo spopolamento dei piccoli paesi, specialmente nel sud. Un buon esempio è rappresentato da Mussomeli, in Sicilia. Il suo centro storico medievale è impeccabile, con vicoli acciottolati, stemmi storici a distinguere i vari quartieri, diverse chiese e piazze. Il sindaco Giuseppe Catania racconta che qui cinque anni fa non ci viveva quasi nessuno. La popolazione locale era andata via o si era trasferita in abitazioni più nuove e confortevoli ai margini del paese.
Diciotto nazionalità
Per invertire la tendenza, il sindaco ha aderito all’iniziativa Case a un euro (case1euro.it), diffusa in buona parte d’Italia. Il progetto prevede che il comune contatti i proprietari delle vecchie case disabitate offrendogli di cancellare le tasse sugli immobili che quelli dovrebbero pagare, in cambio del passaggio di proprietà. Il comune poi vende le case al prezzo simbolico di un euro. Il sindaco spiega che dal 2017 circa 330 abitazioni del centro storico hanno cambiato proprietà. Chi le compra non è obbligato ad abitarci o a mantenere per sempre la proprietà, ma deve ristrutturarle entro tre anni. La ristrutturazione costa tra 500 e 900 euro al metro quadrato. Ora a Mussomeli ci sono 120 imprese edili che lavorano. Il centro storico ristrutturato attira i turisti e persone che grazie a una buona connessione internet possono lavorare lì da remoto. Gli acquirenti provengono da diciotto paesi. Mancano solo gli italiani, che non trovano allettante l’idea di vivere in spazi ristretti come facevano i loro antenati. ◆ gg
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Questo articolo è uscito sul numero 1491 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati