È diventato quasi un eufemismo descrivere la situazione dell’Argentina come una crisi. Da anni il paese sudamericano è afflitto dal declino economico e da una discordia politica che rende impossibili le riforme. Questo contesto ha permesso la vertiginosa ascesa di un candidato improbabile come Javier Milei, il più votato alle primarie del 13 agosto. La voglia di cambiamento è confermata dal secondo posto di Patricia Bullrich, leader dell’opposizione di destra.
Le primarie sono una peculiarità del sistema argentino. Prima delle presidenziali, che si terranno a ottobre, gli elettori sono chiamati a pronunciarsi per eliminare le candidature irrilevanti e risolvere le dispute all’interno dei partiti e delle coalizioni. Stavolta hanno rivelato la forza di Milei, che si definisce “anarco-capitalista” ed è considerato, a seconda dei punti di vista, un estremista di destra, un ultraliberista o un libertario. Economista con un passato nel settore finanziario, promette tagli radicali alla spesa pubblica e una drastica deregolamentazione. Milei attacca la politica nonostante sia un parlamentare, un paradosso che lo avvicina all’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro. È favorevole al possesso di armi e contrario all’aborto, e si esprime in modo aggressivo e minaccioso. Il candidato dei peronisti (al governo), il ministro dell’economia Sergio Massa, si è fermato al terzo posto, conseguenza ovvia di un’inflazione che supera il 100 per cento annuo mentre l’amministrazione stampa moneta per far quadrare i conti, alimentando la povertà e la disuguaglianza.
Il sistema a doppio turno dovrebbe favorire la moderazione e le alleanze, e c’è ancora tempo per una riconfigurazione del quadro elettorale. Ma sarà difficile trovare un’intesa sulle misure da adottare per rimediare al ritardo di un paese ancora fermo agli anni ottanta, che non ha più una moneta credibile e dipende dagli aiuti del Fondo monetario internazionale. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1525 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati