Il realismo sociale è così dominante che è sempre un sollievo scoprire che ci sono altri modi di raccontare il destino degli oppressi. Alle tragedie geopolitiche si accompagna spesso una maledizione estetica. Dirty difficult dangerous di Wissam Charaf è una di quelle opere che spezza la maledizione. Il giovane siriano Ahmed incontra la giovane etiope Mehdia in un campo profughi di un Libano dissanguato da un governo corrotto e reso dalla posizione geografica un rifugio per tutto il Medio Oriente. Il paese si è ormai riorganizzato come una società stratificata nella miseria dove gli stessi libanesi vivono come apolidi. Al tracciare un confine netto tra oppressi e oppressori Charaf ha preferito mettere in piedi un immenso teatro dell’assurdo in cui la xenofobia non è un’esclusiva dei benestanti, ma il sentimento più diffuso al mondo. Dietro la lente del regista il Medio Oriente diventa un parco giochi in cui il caos e l’onirismo si nutrono a vicenda.
Murielle Joudet, Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1536 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati