“La Cambogia non è solo i templi di Angkor Wat e i campi della morte dei Khmer rossi”. Il fotografo cambogiano Kim Hak, 42 anni, vuole offrire un nuovo sguardo sul suo paese, ancora oggi conosciuto soprattutto per i monumenti del glorioso passato e per il genocidio in cui, tra il 1975 e il 1979, morì un quarto della popolazione (all’epoca di circa sette milioni di persone) di questo piccolo territorio del sudest asiatico. Dal 2012, per la serie My beloved, Hak è spesso in viaggio per documentare la varietà dei paesaggi cambogiani: lungo il Mekong, intorno al lago Tonlé Sap, spingendosi a sud verso il mare e le province costiere, e a nord al confine con il Laos, fino alla provincia del Ratanakiri, vicino al Vietnam.
Kim Hak conosceva bene la Cambogia già prima di cominciare questo lavoro, che è ancora in corso. Anzi, è forse uno dei pochi cambogiani ad averla girata tanto, nonostante le infrastrutture stradali non siano sempre in buono stato. Nato nel 1981 nella città di Battambang, nel nordovest del paese, Hak si è diplomato all’istituto tecnico economico della capitale Phnom Penh e ha cominciato subito a lavorare nell’industria del turismo. Per sette anni si è occupato di programmare itinerari turistici, cercando alberghi e ristoranti, e a volte accompagnando i gruppi di visitatori.
È stato nel corso di questi viaggi che ha capito di voler fare il fotografo. Ha frequentato diversi laboratori in Cambogia e nel sudest asiatico per poi dedicarsi completamente a questa professione, con cui però è difficile mantenersi. La sua passione per la fotografia risale a quando era bambino e aveva scoperto le foto di famiglia, piccole e magnifiche stampe in bianco e nero degli anni sessanta. Ritraggono soprattutto suo padre, un intellettuale arrivato da Battambang a Phnom Penh per studiare. Hak le conserva gelosamente. Nelle foto si vede il padre con i suoi compagni di classe e i suoi professori durante le gite scolastiche, o durante un picnic all’università di agraria. La collezione comprende anche foto di amici e familiari dei suoi genitori, e qualche immagine inviata da un amico che aveva continuato gli studi a Parigi.
Il valore della memoria
Le fotografie di quegli anni sono una rarità. Quando i Khmer rossi presero il potere le misero al bando, accusando chi le possedeva di essere un privilegiato e quindi un nemico da eliminare, come nel caso del padre di Kim Hak, funzionario del governo a Battambang e amico di personalità e celebrità dell’epoca, tra cui attrici famose. Ecco perché tante immagini di quel periodo furono bruciate. Anche la madre di Kim Hak distrusse una parte di quelle che possedeva la sua famiglia, ma non riuscì a farlo con le più intime. Come molti altri cambogiani, corse il rischio e le avvolse in un telo di plastica per seppellirle nel suo villaggio. Fortunatamente, alla caduta del regime di Pol Pot nel 1979 riuscì a recuperarle e oggi rappresentano un piccolo tesoro.
Poiché durante la sua infanzia Hak ha sentito la storia del periodo dei Khmer rossi raccontata dai genitori e da altri parenti, gran parte del suo lavoro fotografico è legato a questo dramma collettivo e riflette sul ruolo della memoria. Per esempio, per la serie Alive ha realizzato dei commoventi still life di oggetti di uso quotidiano conservati dalle famiglie in fuga dal regime. In un altro lavoro ha eseguito dei ritratti della diaspora cambogiana; nella serie Someone ha fatto posare le persone in edifici di epoca coloniale che rischiano di andare distrutti, in particolare quelli costruiti negli anni cinquanta da architetti cambogiani e francesi nella località balneare di Kep, dove se ne trovano più di 150. In seguito, usando una luce dalla tonalità arancione, ha documentato le cerimonie legate alla morte del re della Cambogia Norodom Sihanouk nel 2012, da cui poi ha tratto il libro Unity, autopubblicato.
Anche la serie My beloved è legata alla memoria. Cominciata come un viaggio privato, a volte con familiari o amici, è diventata un modo per osservare lo stato del paesaggio cambogiano. Spesso a bordo di una moto, Hak è tornato in luoghi che già conosceva, ne ha scoperti di nuovi, alcuni incontaminati, che gli sono apparsi molto vulnerabili. “Tornando dopo cinque anni in alcuni posti in cui ero stato, mi sono imbattuto in cambiamenti enormi. Alcuni luoghi erano irriconoscibili, altri erano addirittura scomparsi. La Cambogia sta vivendo una transizione molto rapida e in alcuni territori le trasformazioni hanno assunto un carattere spettacolare. Poiché non ci sono leggi per la protezione del paesaggio, tutto è possibile, anche le cose peggiori. Nelle zone umide intere foreste sono morte a causa della costruzione di dighe, altrove sono state abbattute per fare spazio a nuove piantagioni, le montagne sono scavate o completamente distrutte per estrarre le pietre usate per la costruzione di strade ed edifici, i villaggi dei pescatori sono stati spostati per fare spazio a luoghi di villeggiatura; dove prima crescevano gli alberi ora si costruiscono strade, e tanti altri terreni sono in vendita e chissà cosa diventeranno”.
Inquadrati con precisione ma senza effetti particolari, contemplati sotto una luce omogenea e una piacevole vibrazione cromatica, alcuni paesaggi si presentano come un elogio alla natura, mentre altri mostrano le nuove costruzioni.
“Ho deciso di fotografare paesaggi puri, come se fossero dei ritratti, invece di seguire un approccio più concettuale o astratto. Mi piacerebbe che il mio lavoro fosse apprezzato e compreso dalle persone comuni più che dagli intellettuali. Con My beloved vorrei mostrare le immagini della Cambogia di oggi, attraverso i suoi paesaggi incontaminati, ma anche quelli in pericolo e in via di trasformazione. My beloved è una lettera d’amore per il mio paese”. ◆ adr
◆ La serie My beloved del fotografo cambogiano Kim Hak è esposta alla galleria dell’istituto francese in Cambogia fino al 7 gennaio 2024. La mostra fa parte della quattordicesima edizione del festival Photo Phnom Penh. Quest’anno il programma prevede il coinvolgimento di diciannove artisti provenienti da Francia, Taiwan e Cambogia. Tra loro, Denis Dailleux, Olivia Gay, Chang Chao-Tang. L’obiettivo del festival è instaurare scambi tra artisti europei e asiatici, e favorire l’emergere di una nuova generazione di fotografi, in un paese ancora provato dal genocidio dei Khmer rossi.
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Questo articolo è uscito sul numero 1542 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati