Su Gaza finora la Francia ha mantenuto una posizione ambigua, impegnata in ambito umanitario ma esitante sul piano diplomatico. Ora, però, le reticenze sembrano scomparse davanti alla radicalizzazione di Benjamin Netanyahu, che ha ripreso la guerra nel territorio palestinese e impone da un mese un blocco agli aiuti umanitari, e anche a quella di Donald Trump, con la sua assurda proposta di svuotarlo dei suoi abitanti.
Dopo due giorni trascorsi in Egitto e una visita nei pressi della frontiera con Gaza per incontrare i feriti palestinesi, il 9 aprile il presidente francese Emmanuel Macron ha compiuto un passo storico, dichiarando in un’intervista alla tv francese che a giugno Parigi potrebbe riconoscere lo stato palestinese. La Francia diventerebbe così il principale paese occidentale a prendere questa posizione.
Per il momento è giusto parlare al condizionale, ma si tratta comunque di una novità importante. La Palestina è evidentemente uno stato virtuale in un territorio che la popolazione non controlla. Ma la mossa è prima di tutto politica. Riconoscerla significa infatti opporsi alla sua scomparsa e privilegiare una soluzione politica rispetto al rimodellamento della regione attraverso la guerra a cui assistiamo da diciotto mesi.
A giugno la Francia organizzerà con l’Arabia Saudita una conferenza sulla Palestina nella sede delle Nazioni Unite a New York, negli Stati Uniti. Macron ha dichiarato che in quell’occasione potrebbe essere finalizzato un “movimento di riconoscimento reciproco”, in cui diversi paesi, tra cui la Francia, riconoscerebbero la Palestina, mentre allo stesso tempo Israele sarebbe riconosciuto da alcuni stati che ancora non lo hanno fatto. Di questo secondo gruppo potrebbe far parte l’Arabia Saudita, che non ha firmato gli accordi di Abramo con cui diversi paesi del Golfo (e anche il Marocco) hanno riconosciuto Israele.
Il presidente francese non ha aggiunto altro, anche perché c’è il rischio che la sua manovra diplomatica non vada in porto. Ma d’altro canto Macron si è spinto troppo oltre per pensare che tra due mesi possa tirarsi indietro.
La questione era già emersa un anno fa, quando la Spagna, l’Irlanda e la Norvegia avevano deciso di riconoscere la Palestina. All’epoca Macron aveva dichiarato che Parigi lo avrebbe fatto “al momento opportuno”.
Diverse figure di spicco avevano invitato la Francia a prendere posizione, tra cui l’ex ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian e l’ex ambasciatore israeliano in Francia Élie Barnavi. Ma non era servito.
Cosa ha spinto Macron a cambiare idea proprio in questo momento? Di sicuro il contesto ha avuto un ruolo di primo piano. Con il ritorno di Trump, infatti, Netanyahu può contare su un alleato di ferro a Washington, contrario come lui alla soluzione dei due stati. Inoltre, è innegabile che la guerra a oltranza condotta da Israele dopo la rottura del cessate il fuoco renda complice ogni silenzio.
L’8 aprile il quotidiano libanese L’Orient-le-Jour titolava: “Macron si posiziona come il migliore alleato occidentale dei paesi arabi”. Si tratta di una sorta di revival della “politica araba della Francia” ereditata dal gaullismo, dopo anni di fallimenti al di fuori del Libano.
Parigi cerca di mantenere una posizione equilibrata, opponendosi sia ad Hamas sia a Netanyahu. Questa azione costruisce un granello di sabbia nella potente macchina per soffocare le aspirazioni nazionali palestinesi messa in moto dal governo israeliano.
Possiamo stare certi che da qui a giugno molti tenteranno di dissuadere Macron dal varcare il Rubicone. Ma il presidente francese ha la possibilità di cambiare davvero il panorama diplomatico internazionale.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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