Vista dal cielo, la scena era impressionante. Nel centro di Lima una marea umana stendeva per centinaia di metri una gigantesca bandiera con i colori del Perù, rosso e bianco. Il 21 marzo migliaia di peruviani hanno invaso le strade della capitale e di altre città del paese sconvolti dall’ondata di omicidi e dall’aumento dell’insicurezza. Bombe esplose davanti alle scuole o alle discoteche, commercianti e imprenditori ricattati, gruppi musicali minacciati di morte: negli ultimi mesi i numeri relativi alle aggressioni armate, alle estorsioni e ai rapimenti hanno raggiunto livelli da record.
Qualche giorno prima delle manifestazioni, il 16 marzo, un cantante di cumbia molto popolare, Paul Flores, è stato assassinato alla periferia di Lima mentre tornava a casa da un concerto. La morte di Flores, che aveva quarant’anni, ha scatenato l’indignazione dei peruviani. Il musicista è stato colpito da un proiettile durante un assalto da parte di un gruppo di uomini armati contro l’autobus usato per la tournée.
Durante la manifestazione le persone hanno mostrato cartelli con la scritta Nos están matando, ci stanno uccidendo. Una donna sulla quarantina si è sfogata davanti alle telecamere di un’emittente locale: “Andare a lavorare è impossibile. Usciamo la mattina e non sappiamo se la sera torneremo a casa”, ha detto. Il 17 marzo il governo ha decretato lo stato d’emergenza a Lima e nella vicina provincia di Callao. Nel frattempo, il parlamento ha sollevato dall’incarico il ministro dell’interno Juan José Santivañez.
La pratica dell’estorsione ha assunto proporzioni allarmanti, con un aumento del 200 per cento dal 2002, secondo i dati forniti dalla polizia. Un fenomeno che sembra colpire tutti: autisti, barbieri, medici, farmacisti, piccoli imprenditori e negozianti. Non sono esclusi neanche i lavoratori del settore dell’istruzione: l’anno scorso 320 scuole, in gran parte private, hanno subìto estorsione.
Anche il numero di omicidi è aumentato, soprattutto nella capitale e nelle grandi città della costa pacifica come Trujillo, Piura e Tumbes. In media in Perù sono registrati duemila omicidi all’anno. Considerando che il 20 marzo le vittime erano già più di cinquecento, è possibile che la cifra sia superata entro la fine del 2025.
I giornalisti paragonano questo livello di violenza all’epoca del conflitto armato degli anni ottanta e novanta, quando il paese visse la violenza della guerriglia maoista di Sendero luminoso. Le conseguenze del fenomeno sono evidenti: all’inizio di marzo i negozi hanno interrotto l’attività e le scuole sono rimaste chiuse anche dopo il periodo di vacanza, con gli studenti costretti a proseguire le lezioni da remoto.
La situazione evidenzia l’inquietante proliferazione delle organizzazioni criminali legate al traffico di cocaina, all’attività mineraria illegale e al contrabbando di legname e specie animali. La penetrazione delle bande ha ormai raggiunto tutto il territorio peruviano. Secondo Devida, l’agenzia antidroga nazionale, la superficie delle colture di coca è aumentata del 69 per cento tra il 2019 e il 2023, mentre l’estrazione illegale di oro è cresciuta del 39 per cento. “Prima i gruppi criminali operavano in zone circoscritte del paese, nelle Ande e in Amazzonia, in punti chiave del territorio come le valli (dove si trovano le colture di coca), i confini e le zone periferiche. Ora invece sono attivi anche nelle grandi città”, spiega Noam López Villanes, esperto di sicurezza dell’università cattolica del Perù.
Tra queste organizzazioni criminali ci sono le bande colombiane, e recentemente anche ecuadoriane e venezuelane, come il Tren de Aragua. “Agiscono appoggiandosi alla delinquenza locale, che in passato era frammentata e poco armata. Vogliono diversificare le loro attività illegali e aprire nuovi mercati”, spiega Lucía Nuñovero, criminologa ed ex direttrice dell’ufficio di analisi strategica sulla criminalità del governo. “Stanno traendo profitti dove circola il denaro: nel commercio informale (il 75 per cento dell’economia peruviana è sommerso), nel settore dei trasporti e nella prostituzione, che fino a poco tempo fa non erano gestiti dalle grandi mafie. C’era un vuoto e lo hanno riempito”.
I metodi adottati sono sempre più brutali. Il regolamento di conti si è diffuso come strategia per infondere la paura. Le armi usate somigliano a un arsenale di guerra. “Fucili Ar-15, granate, Mini Uzi”, sottolinea Nuñovero.
Finora il governo è stato incapace di frenare l’ondata di violenza. Criticato per l’assenza di strategia a lungo termine, nonostante la retorica improntata sulla sicurezza, negli ultimi mesi l’esecutivo ha moltiplicato i decreti di stato d’emergenza, senza ottenere risultati di rilievo. Nelle ventiquattr’ore successive all’ultimo annuncio dello stato d’emergenza sono state uccise quindici persone.
Il 17 marzo la presidente Dina Boluarte si è dichiarata favorevole alla reintroduzione della pena di morte. Il 20 marzo ha creato una task force militare coinvolgendo gli alti ufficiali delle forze dell’ordine e dell’esercito per coordinare la cattura dei criminali, il sequestro delle armi e gli interventi nei penitenziari.
In molti accusano le autorità di ipocrisia, perché i parlamentari sono considerati responsabili della crescita della criminalità organizzata. “Il congresso ha favorito la diffusione delle organizzazioni criminali”, afferma il sociologo Sinesio López. “È diventato il luogo di concentrazione delle mafie”. López ricorda che più di metà dei deputati è sotto accusa per diversi crimini. “Hanno fatto in modo di approvare leggi che agevolano l’attività criminale e proteggono i responsabili”, spiega il sociologo, riferendosi soprattutto alla legge che limita la definizione penale di crimine organizzato.
Dal 2016 l’indebolimento delle istituzioni e dello stato di diritto in Perù ha creato un terreno fertile per la diffusione delle mafie. L’instabilità politica cronica ha facilitato una corruzione generalizzata: in particolare, sette ex presidenti che hanno servito negli ultimi trentacinque anni sono stati accusati di corruzione. “Il fenomeno riguarda tutta la gerarchia: parlamentari, presidenti dei governi regionali, agenti di polizia, tribunali”, sottolinea Nuñovero.
La sfiducia dei peruviani nei confronti delle autorità è totale. Alla fine del 2024 il gradimento di Boluarte era sceso al 5 per cento, mentre a marzo l’indice di popolarità del parlamento non ha superato il 2 per cento. Le elezioni, previste per il 12 aprile 2026, non offrono motivi di speranza. I peruviani vivono nella paura, sconvolti e disincantati. Durante le manifestazioni del 21 marzo su alcuni dei cartelli si leggeva: “Hasta cuando más muertes?”, fino a quando continueremo a morire?
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