È un gioco che si potrebbe chiamare “Cerca l’errore” o “Trova l’intruso”. La risposta sarebbe sempre la stessa: l’uomo nero. È un gioco al tempo stesso ironico e serio, nato dalla collaborazione tra Lee Shulman, creatore di The anonymous project e l’artista senegalese Omar Victor Diop, autore di diverse serie di autoritratti con cui è diventato famoso al livello internazionale. L’obiettivo del gioco è tanto semplice quanto complesso: includere la figura di Diop all’interno di fotografie amatoriali, anonime, che ritraggono scene di vita quotidiana di famiglie statunitensi, negli anni cinquanta e sessanta. Aggiungere, cioè, un nero tra i componenti di famiglie della piccola borghesia bianca all’epoca della segregazione razziale. Situazioni in cui un nero difficilmente avrebbe potuto apparire e con cui non avrebbe avuto molto da condividere.
La scelta di esserci
Lee Shulman è nato a Londra, nel Regno Unito, nel 1973 e si è diplomato in film e fotografia all’università di Westminster. Oggi è un regista famoso, ha vinto numerosi premi e vive a Parigi. Un giorno ha comprato su eBay delle diapositive su pellicola Kodachrome ed è stato subito colpito dal colore, dalla tonalità particolare di queste immagini capaci di farci provare una grande nostalgia. Quello che più lo aveva appassionato era il valore emotivo di quegli istanti di vita. Così ha cominciato a cercarne altre in giro per il mondo: piccoli rettangoli traslucidi nelle loro cornici di cartoncino bianco, che conservavano tracce di un compleanno, una grigliata, un momento sulla spiaggia, una gita in montagna, una battuta di pesca o momenti banali, apparentemente senza grande importanza se non per chi le ha scattate.
La maggior parte delle immagini finite in questo archivio proviene dagli Stati Uniti e illustra perfettamente la visione spensierata dell’american way of life (lo stile di vita statunitense) di una classe media degli anni di Truman e Eisenhower, quelli dell’inizio della guerra fredda, in cui una parte della popolazione era privata di diritti e libertà fondamentali a causa del colore della pelle. Alcune richiamano le immagini dell’illustratore e pittore statunitense Norman Rockwell. E nonostante risalgano all’epoca delle prime proteste degli afroamericani, è impossibile trovare traccia della loro vita quotidiana. Pochi dovevano avere le risorse economiche per poterselo permettere.
Nel 2017 la collezione privata di Shulman è diventata The anonymous project, un progetto artistico che cerca di dare un senso a questi ricordi un tempo trascurati o addirittura snobbati dal mondo della fotografia. L’artista senegalese Omar Victor Diop, che vive tra Parigi e Dakar, dove è nato nel 1980, dopo gli studi di economia ha lavorato nel reparto comunicazione di un’impresa. Appassionato di letteratura afrocaraibica, ha lasciato presto il mondo aziendale per dedicarsi all’arte e alla fotografia. Nel 2011, grazie alla sua mostra ai Rencontres de Bamako, la biennale della fotografia africana che si svolge in Mali, il suo lavoro è stato subito notato. Da quel momento ha cominciato a realizzare una serie di autoritratti privi di qualunque carattere narcisistico, e capaci di dialogare con il suo interesse per la moda e i tessuti. Con le sue immagini riflette sulle molteplici identità africane e sulla loro percezione, o in alcune serie più recenti parla di questioni legate all’ambiente, come le sfide climatiche che deve affrontare il continente africano.
“Sono ormai quasi dieci anni che ho scelto di usare la macchina fotografica per mostrare la lotta del mio popolo, i suoi momenti di orgoglio, il suo altruismo, la sua incredibile varietà e la sua capacità di adattamento”, ha detto Diop.
Il progetto Being there, diventato un libro nel 2023, è nato su iniziativa di Shulman: “Da tempo mi facevo molte domande sulle fotografie che avevo raccolto nell’archivio di The anonymous project. Sono immagini della classe media, bianca, statunitense, scattate nell’epoca della segregazione razziale. Tra le altre cose, mi faceva riflettere il numero di sedie vuote presenti in alcune foto. Spesso si tratta della sedia di chi si è alzato per scattare la foto. Così mi sono detto che sarebbe stato bello se avessi potuto mettere qualcun altro in quei posti vuoti, e ho pensato a Omar Diop”.
L’ artista senegalese, abituato a lavorare da solo, ha esitato a lungo, ma alla fine ha accettato. Dopo la scelta delle fotografie originali più interessanti per il progetto – in cui la presenza di Diop può essere al tempo stesso un elemento di disturbo o un fattore capace di porre delle domande – la realizzazione in studio è stata semplice.
“Un dettaglio importante è stato il colore della pelle. Le persone che appaiono in queste immagini sono state spesso fotografate con il flash. E io, con la mia pelle nera luccicante, non potevo certo avere una carnagione senza riflessi come la loro; quindi abbiamo dovuto aggiungere dei ‘difetti’ per rendere il risultato più naturale, più ‘imperfettamente’ perfetto. Ci siamo lasciati veramente coinvolgere da questo progetto”, spiegano i due artisti in un dialogo presente nel libro.
Grazie a un lavoro di postproduzione molto accurato, il risultato è perfetto, mai artificiale, ed evita l’effetto collage. È divertente cercare il nero in una cerimonia di consegna dei diplomi, in una festa di famiglia o in una partita di tiro con l’arco all’aperto.
“Il fatto che sia un argomento serio, non significa che debba essere affrontato in modo serioso! Si tratta di una lettura spassionata, basata interamente sulla nozione di gioco. Ma a seconda del modo in cui la serie è interpretata, avrà anche un carattere politico. Oggi tutto può essere politico, pure la scelta di un colore. Il giallo e il blu per esempio mi fanno pensare all’Ucraina, perché il mio sguardo è ormai carico di questo simbolo”, commenta Diop. “Vedo questa serie come uno strumento capace di far discutere. Che lo si voglia o meno, queste foto provocheranno delle reazioni, dei risentimenti. Ma è proprio questo il nostro ruolo di artisti. Non c’è un messaggio diretto. Per quanto mi riguarda le considero degli interrogativi, dei pretesti per riflettere. Le reazioni e i commenti che accompagneranno la lettura di queste fotografie saranno molto più rivelatori dell’assenza stessa di persone nere (o discriminate) che caratterizzava queste immagini amatoriali. Qualcuno troverà l’idea e la sua realizzazione straordinarie, altri forse si sentiranno offesi”, conclude l’artista. ◆ adr
◆ Il libro Being there, realizzato dall’artista senegalese Omar Victor Diop e dal regista Lee Shulman, creatore dell’archivio fotografico The anonymous project, è stato pubblicato dalla casa editrice Éditions Textuel, nel 2023.
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Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati