Il drammone danese La terra promessa prende il suo mandato vecchio stile con gustosa serietà. Ambientata a metà del settecento, è una classica storia di ricchi e poveri, dura e sporca, riempita con orizzonti sconfinati, scene di sofferenza, rovesci di fortuna e consapevolezza catartica. È uno spettacolo vasto, romantico, violento. Ma quello che alla fine lo fa funzionare, oltre alla presenza di Mads Mikkelsen, è il fatto che evita quei cliché nobilitanti che trasformano i personaggi in ideali e i film in esercizi di falsa nostalgia. Mikkelsen intepreta il capitano Ludvig Kahlen, un veterano che dalla guerra ha riportato poco di più di un’uniforme logora e una medaglia. È deciso a coltivare la brughiera dello Jutland, una landa impossibile ma molto amata dal re danese. Kahlen la vuole trasformare in una risorsa, per il sovrano, per il paese e per se stesso. Lo attendono molti ostacoli, non solo naturali. Come Frederik De Schinkel (Simon Bennebjerg), un nobile depravato che lo vede come una minaccia. Mikkelsen con il suo carisma a combustione lenta è eccellente, severo e imperscrutabile, e contribuisce a rendere meno prevedibile la storia.
Manohla Dargis, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati