“La foto mi guardava”. Questa è la prima frase del nuovo libro di Katja Petrowskaja. La raccolta di articoli che l’autrice cominciò a scrivere sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung nel 2015, poco dopo l’annessione della Crimea e l’inizio della guerra russa nell’Ucraina orientale, unisce storia, autobiografia e paesaggio in una nuova forma di testo assolutamente originale. Il titolo suggerisce l’idea di un’immagine che diventa viva e descrive bene il lavoro di Petrowsk-waja: in questo caso cerca di farci capire esattamente cosa la chiamasse in ciascuna delle fotografie analizzate. Qualche volta è un ricordo d’infanzia felice, qualche volta è il modo in cui lo spazio è gestito, altre volte uno sprazzo di luce. Ma c’è sempre molto di più dietro ogni immagine. La sensazione che un minatore ucraino fotografato mentre fuma una sigaretta ti stia fissando è una sorta di antitesi al Walter Benjamin dell’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Dove Benjamin parla della perdita dell’aura, ovvero dell’autenticità di ciò che è accaduto usando il mezzo della fotografia, in Petrowskaja l’aura torna in vita. Questo libro ci invita a riflettere su cosa notiamo in una foto e come lo notiamo e in che modo alcuni dettagli di un’immagine possano contenere la storia. C’è una foto di piazza Majdan a Kiev, diventata famosa dopo la rivoluzione arancione del 2004. È un’immagine del 1943 che ce la mostra in rovina e non solo lega in maniera evidente la storia dell’occupazione tedesca con le immagini della guerra odierna di Putin ma ci riporta anche alla storia, difficilissima da ricostruire, della famiglia di Petrowskaja nella Kiev della seconda guerra mondiale. Jan Süselbeck, Die Zeit
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Questo articolo è uscito sul numero 1563 di Internazionale, a pagina 87. Compra questo numero | Abbonati