Per quasi metà della sua vita, dormire è stato l’incubo di Barbara J., terapista dello sport di 56 anni. Si svegliava al minimo rumore, fino a otto volte per notte. “Ho sempre usato i tappi per le orecchie e la camera da letto doveva essere completamente al buio. Ho provato con gli esercizi di rilassamento e di respirazione”, racconta. “Ma non c’era niente da fare”.
Come per molte donne, i suoi problemi di insonnia sono cominciati con i figli. Quando è nata la primogenita, J. aveva 31 anni; quattro anni dopo è arrivato il maschio. “Ce n’è voluto prima che i miei figli cominciassero a dormire una notte intera senza interruzioni, e il mio ex marito non era di nessun aiuto”, spiega. Di giorno era lei a cambiare vestiti e pannolini, portare i figli al parco, cucinare, pulire, giocare con loro e rassettare. La sera, quando il padre tornava a casa, J. teneva i suoi corsi. Di notte poi, se uno dei bambini si svegliava piangendo, era sempre lei a consolarlo. E quando si ammalavano, era lei a sedersi accanto al letto. All’epoca pensava che la sua stanchezza fosse normale. “Mi dicevo: che ci vuoi fare, con i figli è così”.
Poi sono cominciati i problemi coniugali e le nottate passate a chiedersi se non fosse il caso di separarsi dal marito. J. se n’è andata con i bambini quando avevano nove e cinque anni. Ha conosciuto quello che sarebbe diventato il suo secondo marito e hanno preso una casetta in campagna vicino a Friburgo, in Brisgovia. Ma anche se le cose sembravano andar bene, l’insonnia era sempre là e J. si sentiva sfiancata. Tutta la sua vita ha finito per ruotare intorno al sonno, racconta J., che per il suo lavoro dev’essere sempre in forma. “Invece ero completamente priva di energia. Pensavo che il fisico non mi reggesse più”. Arrivava al pomeriggio talmente esausta da doversi stendere ed era terrorizzata dai corsi serali che teneva più volte alla settimana. Spesso, quando non lavorava, era troppo stanca per fare programmi o per vedere gli amici e preferiva andarsene a letto alle nove: “Pensavo di essere gravemente malata”.
In Germania non sono poche le persone che al calare della notte cominciano a preoccuparsi. Nel 2022 circa sei milioni di persone si sono rivolte a un medico per disturbi del sonno. E i numeri sono in crescita: secondo uno studio dell’assicurazione sanitaria Barmer tra il 2012 e il 2022 sono aumentati di almeno un terzo, senza considerare le tante persone che non si rivolgono a un medico. Stando a un altro studio, infatti, in Germania una persona su tre ha difficoltà ad addormentarsi, si sveglia durante la notte oppure troppo presto al mattino. Poi c’è chi di sera passa troppo tempo al cellulare e il giorno dopo ha difficoltà ad alzarsi. I disturbi del sonno sono più frequenti nelle donne che negli uomini. La quantità di sonno di cui abbiamo bisogno dipende da fattori genetici e dall’età. In generale varia molto da persona a persona: sembra che Albert Einstein dormisse più di dieci ore a notte, mentre a Napoleone Bonaparte ne bastavano quattro. Ma solo a pochi individui sono sufficienti cinque o sei ore di sonno. Secondo la statunitense National sleep foundation, agli adolescenti servono mediamente tra le otto e le dieci ore di sonno. Agli adulti, invece, servono dalle sette alle nove ore. In Germania però circa metà della popolazione dorme meno delle ore consigliate.
Forse l’insonnia è sempre esistita. A tenerci svegli sono le preoccupazioni, l’età, i problemi di salute. L’insopportabile desiderio di dormire è stato descritto dagli antichi greci, da Shakespeare e da Goethe. Oggi però il problema è aggravato dal nostro stile di vita. Con l’invenzione della lampadina abbiamo cancellato la notte. “Se la sera c’è troppa luce dormiamo peggio”, spiega Christian Cajochen, direttore del Centro di cronobiologia presso le Cliniche psichiatriche universitarie di Basilea, in Svizzera. Le immagini satellitari mostrano che ormai sono pochissimi i luoghi dove dopo il tramonto fa veramente buio: le nostre città sono illuminate a giorno. La luce artificiale, in particolare quella blu, annulla la distinzione tra notte e giorno. E i led disturbano il sonno ancor più delle vecchie lampadine.
Il nostro ritmo circadiano si sta facendo più irregolare. Molte persone sentono il peso di conciliare lavoro e famiglia. Di notte usciamo, giochiamo al computer e al cellullare oppure ce ne stiamo seduti troppo a lungo davanti alla tv. E, se fino alla metà degli anni novanta i canali a una certa ora interrompevano le trasmissioni, oggi a tenerci svegli a oltranza ci pensano le piattaforme di streaming. Inoltre la popolazione invecchia, si muove troppo poco e non fa che ingrassare. E tutto questo influisce negativamente sulla qualità del sonno.
L’insonnia è un importante fattore di rischio per quanto riguarda depressione, obesità, diabete, malattie cardiovascolari, indebolimento del sistema immunitario, disturbi della concentrazione e demenza. Secondo una ricerca presentata al congresso dell’American college of cardiology del 2023, per chi soffre di disturbi del sonno il rischio di avere un infarto nel corso dei nove anni successivi aumenta del 69 per cento. Anche in questo caso il rischio è maggiore nelle donne. Viceversa, patologie come depressione, demenza, parkinson e anche il covid possono portare a disturbi del sonno. “Capita a tutti di dormire male ogni tanto, è normalissimo”, dice Dieter Riemann, direttore del reparto di psicologia clinica e psicofisiologia dell’ospedale universitario di Friburgo. Se però la vita quotidiana comincia a risentirne e se i disturbi del sonno si presentano più di tre volte alla settimana per almeno un mese bisognerebbe consultare un medico.
Gli tsimané si coricano quando fa buio e restano a letto fino all’alba
“Dobbiamo capire che il sonno non è qualcosa di cui si può fare a meno”, osserva Ulf Kallweit, medico e ricercatore presso l’università Witten/Herdecke. “Ha diverse funzioni fondamentali ed è importantissimo per la nostra salute, soprattutto quella cerebrale”.
I ricercatori ipotizzano che quando dormiamo avvenga una sorta di reset delle cellule nervose cerebrali, che così il giorno dopo tornano a essere più recettive a nuovi stimoli. Dormire bene e a sufficienza è importantissimo anche per fissare quello che impariamo nella nostra memoria a lungo termine.
Inoltre, come dimostrano gli esperimenti sugli animali, è soprattutto quando dormiamo che entra in azione quella che potremmo definire la nettezza urbana del cervello: il sistema glinfatico. È una rete di minuscoli vasi di drenaggio che durante il sonno permette di rimuovere le proteine accumulate nel cervello. Tra queste c’è anche la betamiloide, che contribuisce in modo decisivo allo sviluppo dell’alzheimer.
Quindi chi soffre d’insonnia sottovaluta il problema? No, ma molti provano una sorta di vergogna: nella nostra società competitiva l’insonnia è stigmatizzata, e ci vuole poco perché una persona che non riesce a dormire passi per incapace o troppo fragile. Poi c’è chi è convinto di non poter trovare aiuto e accetta le proprie sofferenze notturne come parte della vita. Qualcun altro cerca troppo a lungo di risolvere il problema da solo a forza di tisane, valeriana, caramelle alla melatonina, coperte ponderate e manuali di autoaiuto, di solito senza ottenere grandi risultati. Anche chi si rassegna a consultare un professionista, di solito ci mette parecchio prima di decidersi.
E chi vuol farsi aiutare da un professionista deve affrontare altri problemi. Il fatto è che non ci sono abbastanza specialisti: in Germania i medici specializzati in disturbi del sonno sono circa 1.300, mentre i cardiologi sono quasi il triplo. Inoltre, la ricerca non dispone di fondi sufficienti e sono troppo pochi i medici di base con qualche competenza sul trattamento dei disturbi del sonno. In alcune zone del paese ci vogliono più di sei mesi per ottenere una diagnosi da un centro specializzato. Per trovare la terapia giusta possono volerci anni.
Eppure, anche chi soffre d’insonnia da tempo non dovrebbe perdere le speranze. Le nostre conoscenze sul delicato equilibrio tra sonno e veglia stanno aumentando: sappiamo quali sono le cose apparentemente insignificanti che possono alterarlo, che ruolo hanno lo stress, la luce e l’alimentazione scorretta e cosa fare per interrompere il circolo vizioso.
“Oggi sappiamo molto di più sui fattori che possono scatenare i disturbi del sonno, e in alcuni settori ci sono stati progressi incredibili”, osserva Riemann. Nuovi medicinali promettono soluzioni anche per chi soffre d’insonnia molto grave ed è ormai dimostrato che in molti casi possano essere d’aiuto le terapie cognitivo-comportamentali che insegnano a gestire lo stress e i pensieri intrusivi.
La dieta del sonno
Qualche mese fa Barbara J. ha notato un annuncio sul giornale: per uno studio, l’ospedale universitario di Friburgo stava cercando persone con disturbi del sonno da sottoporre a una terapia cognitivo-comportamentale. “È il metodo più efficace di cui disponiamo”, sostiene Riemann. L’obiettivo dello studio Isleepwell, che coinvolge più di quattrocento persone in tutta la Germania, è confrontare vantaggi e svantaggi delle terapie online e di quelle in presenza.
All’inizio i partecipanti sono autorizzati a dormire solo poche ore a notte. Non possono fare riposini pomeridiani né leggere, guardare la televisione o mangiare a letto. Chi di notte non riesce a dormire non può alzarsi dal letto, e i sonniferi sono vietatissimi. “Quando diamo queste regole di solito la gente inorridisce”, racconta Riemann. “Ma poi spiego la logica che c’è dietro: è una specie di dieta del sonno”. L’obiettivo è far sì che il corpo e la mente si riapproprino di una semplice regola: letto = sonno. Di solito chi riesce ad attenersi a queste regole dopo qualche giorno è talmente stanco che scivola rapidamente in un sonno profondo e tende ad avere meno risvegli notturni. Se il paziente risponde bene alla terapia, il tempo da trascorrere a letto viene gradualmente aumentato in modo da individuare il numero di ore più adatto ai suoi bisogni. Metà dei pazienti risponde molto bene alla terapia, e un altro quarto riferisce un miglioramento. “Purtroppo non abbiamo la bacchetta magica”, ammette Riemann.
In una fredda giornata di gennaio, Barbara J. incontra per la sesta e ultima volta la psicologa Fee Benz. Ha l’aria felice: “Dormo senza tappi, mi sento riposata e piena di energie. E tutto questo senza farmaci. Sto benissimo e non ho più neanche le occhiaie”. Ha con sé una spessa cartellina gialla, il diario del sonno che ha tenuto nelle ultime settimane: a che ora è andata a letto, quante ore ha dormito, quante volte si è svegliata durante la notte e come si è sentita. All’inizio era previsto che andasse a dormire alle 23 e si alzasse alle 5: “Avevo difficoltà a stare sveglia e contavo i minuti che mancavano per andare a letto”. Dopo pochi giorni di terapia si è fatta una notte di sonno senza interruzioni, la prima in tantissimi anni: “Una sensazione incredibile”.
Ha individuato la quantità di sonno giusta per lei: sette ore. “Me ne servono molte meno di quanto pensassi”, commenta. Le cose però non sempre vanno così lisce, spiega Benz. “A volte è molto difficile, soprattutto d’inverno quando le notti sono più lunghe. Ma chi porta avanti la terapia fino alla fine ce la può fare”. È capitato che una paziente la chiamasse disperata dopo dieci giorni per interrompere la terapia. Ma poi ha continuato e dopo altre due settimane è arrivata la svolta. “Mi ha detto che aveva finalmente esorcizzato il demone”, racconta Benz. “Un’immagine che rende bene le sue sofferenze”.
Il problema principale dell’insonnia è lo stress cronico, spiega il medico del sonno Kallweit: “Spesso i disturbi del sonno insorgono in una fase della vita particolarmente stressante, ma quando la situazione migliora non spariscono”.
Con lo stress aumentano i livelli di cortisolo nel sangue. Il cortisolo è il cosiddetto ormone dello stress che nei momenti di tensione acuisce la nostra capacità di attenzione e concentrazione, tenendoci svegli. I livelli di cortisolo variano in base al naturale ritmo circadiano: sono più alti al mattino e più bassi alla sera, così possiamo addormentarci. “Ma se lo stress diventa una condizione permanente, il cortisolo può produrre l’effetto opposto”, spiega Henrik Oster, direttore dell’istituto di neurobiologia dell’università di Lubecca.
Negli esperimenti sugli animali è stato riscontrato che l’innalzamento permanente dei livelli di cortisolo può portare alla rescissione di legami sinaptici cerebrali, con un conseguente peggioramento del funzionamento delle reti neurali. Secondo Oster può perfino provocare “una sorta di trasformazione neurodegenerativa”, con potenziali ripercussioni sulla capacità di concentrazione ed elaborazione del pensiero, oltre che sul sonno. Di conseguenza, ci sentiamo profondamente stanchi e prossimi allo sfinimento.
Se la mancanza di sonno perdura si può finire in un circolo vizioso. Di notte chi ne soffre è in uno stato di hyperarousal, una sorta di sovraeccitazione cerebrale, e spesso è come sospeso tra due mondi: pur dormendo dal punto di vista fisiologico, è convinto di essere sveglio e rimugina sui problemi della giornata, intrappolato in una specie di loop. “Chi dorme male spesso dice di non aver chiuso occhio tutta la notte”, spiega Riemann. “Ma in realtà dorme semplicemente in modo diverso. L’ipnogramma mostra una persona in stato di veglia”. Alcuni studi hanno dimostrato che chi dorme male ha più micro-fasi di veglia rispetto a chi dorme bene e che questi momenti si concentrano soprattutto nella fase rem, particolarmente importante per la stabilizzazione dei processi mnemonici.
“L’ipotesi è che spesso per chi soffre di disturbi del sonno il fattore di stress sia l’insonnia stessa. In pratica, i pazienti si preoccupano all’idea di non dormire e hanno paura di passare l’ennesima notte insonne”, dice Riemann. E il fatto che all’insonnia corrisponda un malfunzionamento di certe fasi e di certi processi del sonno potrebbe spiegare perché con essa aumenti il rischio di sviluppare disturbi psichiatrici come la depressione.
Anche i sonniferi classici come le benzodiazepine, lo zopiclone o lo zolpidem, che hanno un effetto sedativo sul cervello, possono avere ripercussioni negative su alcuni importanti processi che dovrebbero svolgersi durante il sonno. Tra le altre cose inibiscono la fase rem, con possibili effetti negativi sul riposo cerebrale e di conseguenza sulla memoria. Le benzodiazepine possono dare dipendenza e aumentare il rischio di demenza.
Nuove soluzioni
Per questo fa ben sperare lo sviluppo di un nuovo farmaco che agisce in modo diverso dagli altri sonniferi. Si tratta del daridorexant, un antagonista dei recettori dell’orexina che l’Unione europea ha autorizzato nel 2022, consentendone l’impiego nel trattamento prolungato dei disturbi del sonno. Per quello che ne sappiamo oggi, il daridorexant non crea dipendenza. Il suo principio attivo favorisce il sonno inibendo l’effetto dell’orexina, un neurotrasmettitore che stimola lo stato di veglia.
Il nuovo farmaco dimostra l’importanza della ricerca di base nella medicina del sonno: il ruolo dell’orexina nel ciclo sonno-veglia, infatti, è stato scoperto nel corso delle ricerche sulla narcolessia, una malattia dovuta proprio alla carenza di orexina che induce continui colpi di sonno durante la giornata.
Anche la melatonina, un altro ormone, serve a stimolare il sonno. Inducendo un abbassamento della temperatura corporea, della pressione e del fabbisogno energetico nella fase serale, dà al corpo il segnale per sentirsi stanco e addormentarsi. Tra i farmaci autorizzati in Germania ci sono diversi preparati a base di melatonina ad azione prolungata, usati per esempio nei bambini con autismo che soffrono di disturbi del sonno o negli adulti al di sopra dei 55 anni. La melatonina ad azione rapida, invece, si trova in farmacia e serve a contrastare l’effetto del jet lag e a riprendere il ritmo.
Anche chi nel fine settimana dorme fino a tardi e poi il lunedì deve uscire presto può soffrire di una specie di jet lag. Lo stesso vale per chi fa spesso turni di notte, come gli operai, gli infermieri o i poliziotti, e per gli artisti che a volte scambiano la notte con il giorno. In queste persone, oltre allo stress cronico, c’è un altro fattore che contribuisce all’insorgere di disturbi del sonno: conducono una vita che è in contrasto con il loro orologio biologico.
È il caso di Tobias Münzhauer, 39 anni, musicista di professione. Il suo lavoro lo condanna all’insonnia: oltre ai ritmi irregolari, c’è la costante preoccupazione economica di chi lavora in proprio. Poi ci sono le tournée all’estero, il jet lag e gli alloggi spesso scomodi.
Tutto è cominciato più o meno due anni fa: per notti e notti di seguito non è riuscito a dormire più di qualche ora. Durante il giorno si appisolava, e per combattere la stanchezza si è messo a bere molto caffè: “Mi sentivo come telecomandato, completamente fuori fase”, ricorda. Durante una tournée in Sudamerica l’insonnia è peggiorata al punto che a stento riusciva a reggersi in piedi sul palco.
Tra i fattori scatenanti Münzhauer cita una relazione turbolenta. Lui era abituato ad andare a letto al più tardi a mezzanotte, mentre la sua compagna spesso faceva le ore piccole e poi dormiva fino a tardi: “Avevamo ritmi molto diversi. Abbiamo provato ad adattarci, ma alla lunga si è rivelato impossibile”. Dopo la separazione, Münzhauer non è riuscito a riprendere le sue abitudini: il suo orologio biologico, il cosiddetto ritmo circadiano, si era inceppato.
L’orologio biologico regola molte funzioni corporee, ma si inceppa facilmente
Il centro di controllo cerebrale del ritmo circadiano è il nucleo soprachiasmatico (Nsc), un gruppo di cellule che funziona come una sorta di orologio centralizzato che invia segnali a centri di controllo subordinati nel cervello e in altre parti del corpo.
L’attività dell’Nsc dipende da luce e buio: quando fa giorno, i segnali luminosi passano dall’occhio all’Nsc, che a sua volta stimola una regione del tronco encefalico a inviare segnali di veglia alla corteccia cerebrale. Quando fa buio, l’Nsc attiva un altro nucleo neuronale che inibisce i segnali di veglia. Allo stesso tempo, il buio induce una piccola zona cerebrale, l’epifisi, a rilasciare melatonina, segnalando al corpo che comincia la fase di riposo.
“L’orologio biologico regola molte funzioni corporee, vari ormoni, il metabolismo, il cuore e la pressione sanguigna; anche tanti altri organi sono coordinati da questo centro di controllo”, spiega il cronobiologo di Basilea Christian Cajochen. “Ogni cellula del nostro corpo ha il suo orologio biologico e si adatta in modo più o meno marcato alle varie fasi della giornata”, dice il suo collega Henrik Oster, ricercatore a Lubecca. L’Nsc controlla questo processo. “Possiamo immaginare gli orologi biologici come tante trottole collegate tra loro”, aggiunge Oster. L’Nsc è la trottola più grande di tutte e può esercitare la maggiore influenza sul movimento delle altre”.
Purtroppo l’orologio biologico si inceppa facilmente. Se di notte accendi una luce con un’alta componente di blu, nel giro di minuti si registra un calo considerevole dei livelli di melatonina, continua Oster, e a quel punto riaddormentarsi può essere difficile. Soprattutto chi fa turni di notte risente di questo meccanismo e tende a sviluppare gravi disturbi del sonno.
Per dormire bene, Cajochen raccomanda di trascorrere almeno mezz’ora o un’ora al giorno all’aria aperta quando c’è luce. E per far sì che la produzione di melatonina nel cervello cominci al momento giusto, l’esposizione alla luce andrebbe ridotta tre ore prima di andare a letto.
Münzhauer ha tentato molte strade: rimedi casalinghi, medicina alternativa, melatonina: niente ha riscosso il successo desiderato. All’inizio aveva provato con la cannabis, ma presto si è reso conto che pur aiutandolo ad addormentarsi rendeva il suo sonno più disturbato. E per timore di sviluppare una dipendenza alla fine ha smesso. Ma nemmeno le benzodiazepine prescritte dal medico di base hanno prodotto miglioramenti duraturi.
I suoi disturbi si sono attenuati solo con un radicale cambiamento dello stile di vita. È stato utile cominciare a pianificare minuziosamente la giornata, per esempio. Poi ha abolito quasi completamente la caffeina, ogni sera impostava il telefono e il computer in modo da ridurre al massimo la luce blu e ha imparato alcune tecniche, come il rilassamento muscolare progressivo e la meditazione. Adesso fa sport regolarmente. Alla fine l’insieme di tutti questi cambiamenti ha funzionato.
L’esercizio fisico può essere una soluzione semplice per facilitare un buon sonno? Non ci sono dati certi in merito. Molte ricerche sembrerebbero indicare che può migliorare qualità e durata del sonno, soprattutto negli anziani. D’altra parte, però, chi soffre di seri disturbi del sonno non riuscirà a risolverli solo con il movimento.
Sullo stesso fuso
Sport, disciplina e ritmi per quanto possibile regolari: ecco la ricetta di Tanja Becker, pilota della Lufthansa. Due o tre volte al mese attraversa quattro fusi orari e vola negli Stati Uniti, in Canada, in Asia e in Sudamerica per viaggi che vanno dai tre ai sette giorni.
Per chi dorme bene spesso basta una notte insonne per sentirsi distrutto. Becker, 42 anni, ha due figli di cinque e sette anni, è cofondatrice di una startup che si occupa tra l’altro del controllo dell’illuminazione nelle cabine degli aerei e lavora anche in proprio come consulente. Come fa a dormire a sufficienza? “Quando ho cominciato con i voli intercontinentali mi stancavo molto”, dice Becker. “Sapevo di dover fare qualcosa”. Occuparsi della questione da un punto di vista scientifico l’ha aiutata.
Becker è ingegnera aeronautica e nel 2016, mentre scriveva la sua tesi di dottorato sul jet lag, ha scoperto che esiste una forte variabilità individuale. In media quattro persone su dieci non hanno sintomi da jet lag. Le altre invece risentono delle conseguenze del fuso orario, e due o tre provano forti disagi psicofisici. Tra i sintomi ci sono difficoltà a prendere sonno, risvegli notturni, problemi di concentrazione e sonnolenza diurna e poi irritabilità, nausea, mal di testa e disturbi gastrointestinali.
“Il jet lag è inevitabile, ma si può aiutare il corpo ad affrontarlo”, dice Becker. Ecco il suo consiglio: “Io resto sempre più o meno settata sull’orario tedesco”. Sposta le lancette dell’orologio solo quando resta in un posto per più di 72 ore. Se per esempio vola da Francoforte a Seoul e atterra alle 10.40 ora locale, in Germania saranno le 2.40. Mentre fuori imperversa il trambusto della giornata, lei tira le tende oscuranti della camera d’albergo e se ne va a dormire.
Mangia quando in Germania è ora di pranzo e fa jogging nella palestra dell’albergo all’ora in cui lo farebbe a casa, anche se a Seoul è notte fonda. Ed evita di esporsi alla luce del giorno all’orario sbagliato.
L’esperienza ha insegnato a Becker che il modo in cui percepiamo una notte con poco sonno fa tanta differenza. “Io cerco di prenderla con filosofia, perché se una se ne sta distesa a dirsi: ‘Non riesco a dormire’ di sicuro non si addormenterà mai”. Il corpo può sopportare una nottataccia o due alla settimana, se riesce a compensarla nei giorni successivi. Il consiglio di Becker è provare a vedere il sonno come una cosa positiva e dargli più spazio.
Prendersela comoda
Per le persone anziane vedere il sonno come una cosa positiva spesso non è facile. Di solito ci mettono più dei giovani ad addormentarsi e spesso passano la notte sdraiati a occhi aperti, oppure al mattino si svegliano molto prima, tanto che si parla di insonnia senile. Tra le cause ci sono anche i cambiamenti fisici: con l’età diminuisce il rilascio di melatonina, la temperatura corporea ricomincia a salire un po’ prima nel corso della notte e il rilascio di cortisolo oscilla di meno tra il giorno e la notte.
Nelle donne spesso i problemi d’insonnia cominciano o peggiorano con la menopausa. È successo anche a Christine K., che vive vicino a Bonn ed è in cura da Ulf Kallweit. Ha 64 anni e quando ne aveva più o meno 45 ha cominciato a sentirsi fiacca ed esausta nel corso della giornata. La sera si addormentava senza problemi, ma durante la notte le capitava sempre più spesso di stare sveglia per ore. Allora ha provato a seguire tutti i consigli per dormire bene: quando non riusciva a prendere sonno provava a leggere, a bere un po’ d’acqua, a oscurare la camera da letto e a raffreddarla fino a 17 gradi. Niente da fare.
Poi, quando il marito si è ammalato di cancro e lei ha temuto che morisse, l’insonnia è peggiorata. Non riusciva a tenere a freno i pensieri e a stare tranquilla. Di notte andava in bagno almeno tre volte e a letto le venivano gli attacchi di ansia. Spesso dormiva sonni talmente irrequieti che al risveglio trovava le coperte a terra. Di giorno era irritabile e si arrabbiava per ogni stupidaggine. “Bastava che qualcuno parlasse a voce troppo alta perché diventassi aggressiva”, racconta.
Allora è andata dal medico per un check up completo: tiroide, ferro, vitamine. Era tutto a posto. Si è operata al naso per respirare meglio e ha perfino fatto dei test per il disturbo da deficit di attenzione/iperattività, ma nessuno è riuscito a individuare la causa della sua insonnia. Ha superato la fase più complicata grazie alla psicoterapia, poi la salute del marito è migliorata. Ma non ha ricominciato a dormire bene.
Due anni fa si è rivolta a Kallweit e lui, siccome Christine K. era già in terapia, ha provato a intervenire con i farmaci: prima la melatonina, poi i soliti sonniferi e antidepressivi e infine il nuovo farmaco, il daridorexant. “Ma non sono serviti a niente”, dice K.
Kallweit però non si è arreso: “Spesso è utile non considerare l’insonnia come un disturbo isolato: vanno incluse nella terapia tutte e 24 le ore della giornata”, spiega.
Da un anno K. prende un antidepressivo ogni mattina. “Ora sto decisamente meglio”, dice. Durante la giornata a volte si sente esausta, ma capita molto meno di prima. E soprattutto non si sente più costantemente irritabile e si sveglia molto meno spesso. Quando le capita di svegliarsi e non riuscire a riaddormentarsi non si agita: “Mi metto a leggere e so che prima o poi tornerò a dormire”. Non entra più in una spirale di pensieri angoscianti.
Chi studia il sonno sostiene che forse la chiave per dormire bene è proprio questa: non bisogna farsi prendere dall’ansia.
Della questione si è occupata anche la neurologa Birgit Högl, a capo del reparto di medicina del sonno dell’università di medicina di Innsbruck, in Austria. Högl ha provato a capire se chi vive al di fuori della cosiddetta civiltà soffre degli stessi disturbi del sonno che colpiscono noi.
Tramite un’amica è entrata in contatto con gli tsimané, indigeni della selva boliviana che vivono in comunità remote, spesso lontanissime dalle strade e senza elettricità. “Alle 19, quando fa buio, le persone si ritirano nelle capanne di legno e si coricano sotto le zanzariere”, spiega Högl. Spesso rimangono al buio: per risparmiare usano poco le lampade al cherosene e le candele. Gli tsimané restano a letto per undici o dodici ore, fino all’alba: se ne stanno lì a masticare foglie di coca, chiacchierare e fare sesso. E a dormire.
La ricercatrice ha visto con i suoi occhi che quelle lunghe nottate non sempre sono di tutto riposo: “Fa caldissimo anche di notte. I letti sono fatti di assi di legno con sopra sottili materassi di rafia. I bambini dormono con i genitori. E se gli animali cominciano a strepitare oppure si sentono abbaiare i cani, bisogna alzarsi per andare a vedere se ci sono predatori o intrusi da scacciare”.
Dal punto di vista della medicina del sonno non sembrano condizioni molto favorevoli. “Ma stranamente gli tsimané non si agitano affatto per queste frequenti interruzioni”. Högl non ha mai sentito nessuno lamentarsi dei rumori notturni e del fatto di doversi alzare: tutto questo non è motivo di stress. “Non parlerei di una frammentazione patologica del sonno: gli tsimané si adattano alle circostanze, e se devono alzarsi poi si rimettono a dormire senza problemi”.
Secondo Högl, però, interrompere volontariamente il sonno non è una buona idea. “Non basta dormire per un certo numero di ore totali: il sonno dev’essere continuativo, con le varie fasi che si susseguono secondo un certo ritmo, e risulta più riposante se è notte”.
Ma dagli tsimané potremmo almeno imparare a mantenere un atteggiamento rilassato nei confronti del sonno. “Dovremmo cercare di vederlo come un dono. Io sono sempre contenta quando arriva il momento di andare a letto”, osserva Högl. “E se mi capita di svegliarmi nel corso della notte guardo l’orologio e mi dico: wow, ho ancora due ore! E sono contenta”. ◆ sk
Questo articolo è stato scritto da Julian Aé, Irene Berres, Veronika Hackenbroch, Jule Lutteroth, Katherine Rydlink e Nina Weber.
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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati