Nel secondo volume della sua Autobiografia in movimento, la scrittrice britannica Deborah Levy si chiedeva: “Di cosa ha bisogno una donna per diventare la protagonista della propria vita?”. Per lei significava trovare la sua voce e farsi sentire in un mondo patriarcale. Bene immobile si concentra sulla sua relazione con la proprietà, il possesso e la casa. Levy, arrivata a sessant’anni, riflette su come la sua vita “stia volgendo al meglio”. Sebbene scriva da quando aveva vent’anni (per lo più teatro e poesia) la sua carriera di autrice è davvero decollata dopo i cinquanta. Non tutti sono felici per la sua fortuna. A un party letterario a Londra uno spiacevole “scrittore di una certa notorietà” cerca di guastarle la festa e le chiede subdolamente: “Non ti capita di guardarti allo specchio e pensare che tutto questo successo ti è arrivato piuttosto tardi e che tanta fama sia piuttosto volgare, noiosa e sfiancante?”. È proprio l’apertura di Levy ai tic e agli scivoloni altrui a rendere il suo lavoro così stimolante. È una scrittrice che scruta a fondo ma senza forzare la mano. La prosa è giocosa e ricca di livelli sovrapposti, e offre sempre un’affascinante chiave di lettura sul suo modo di scrivere e di lavorare.
Heller McAlpin, Los Angeles Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati