Cercare di capire le vite dei tibetani per noi è molto complicato, anzitutto perché più della metà dell’area dove abitano è formata dalla Regione autonoma del Tibet, in cui la Cina ammette pochissimi giornalisti stranieri. E poi c’è il problema della distanza che rende materialmente difficile raggiungere le remote comunità tibetane sparpagliate su altopiani situati ad alta quota. Le parti orientali esterne alla regione autonoma sono amministrate da quattro province cinesi che autorizzano l’ingresso ai giornalisti, ma spesso un lungo e faticoso viaggio può comunque interrompersi davanti a improvvisi posti di blocco. Barbara Demick, ex corrispondente del Los Angeles Times a Pechino, è riuscita a ottenere qualcosa di notevole con questo ritratto di Nagba, una cittadina tibetana nella provincia del Sichuan. Nagba si trova vicino al limite dell’altopiano, ma la sua vicinanza con la Cina non la rende più facile da visitare di Lhasa, la capitale della Regione autonoma. Le autorità cinesi fanno in modo che sia difficile arrivarci perché, a partire dal 2008, è diventata un centro nevralgico della dissidenza tibetana ed è stata teatro di violente repressioni militari. Nei Mangiatori di Buddha Demick racconta che a Nagba sono stati uccisi decine di manifestanti. Dei più di centocinquanta tibetani che si sono dati fuoco protestando contro la Cina circa un terzo veniva da Nagba o dai suoi dintorni. Barbara Demick è riuscita a entrare di nascosto a Nagba per tre volte e ha incontrato diverse persone che le hanno rivelato una realtà agghiacciante. Per settimane, dopo i disordini del 2008, le autorità cinesi hanno messo sotto assedio il monastero di Kirti, il centro religioso della città, con l’obiettivo di far arrendere per fame i tremila monaci che vivevano lì. Dopo aver fatto irruzione nel monastero hanno arrestato seicento monaci e li hanno tenuti in celle piccole, sporche e affollate, senza neanche la possibilità di usare un bagno vero e proprio. Sono stati obbligati a fare dichiarazioni, riprese anche in video, in cui rinunciavano a sostenere il Dalai Lama, il capo spirituale dei tibetani. “Anche oggi”, dice Demick, “il livello di paura tra i tibetani è simile solo a quello che ho visto nella Corea del Nord”, un paese dei cui orrori si era già occupata in un libro precedente. The Economist
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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati