L’anno è il 1901, il luogo è Norwich, nell’est del Regno Unito, e l’eroina di questa storia è la dodicenne Edith Holler che, come ci dice lei stessa, è “famosa”. Edith vive in un teatro e non ha mai messo piede fuori, dopo essere stata avvertita che l’edificio crollerebbe se lei ne uscisse. Bambina senza madre, è cresciuta circondata da una strana fauna di fedelissimi del teatro (la burattinaia, il direttore di scena, il suggeritore) che hanno vissuto talmente a lungo in teatro da esserne diventati parte, una strana microsocietà che si è evoluta per adattarsi all’ambiente, come le creature delle profondità dell’oceano.
Gli Holler sono una dinastia teatrale. Il padre di Edith è un celebre attore costantemente pedinato dal suo sostituto, Mr Collin, che si distingue da lui solo per il lievissimo accenno di un naso finto. Ci sono parecchi momenti comici e altrettanti momenti inquietanti: non capire se il proprio padre è un impostore fa davvero paura, e questo è il terreno sdrucciolevole di un romanzo che è allo stesso tempo fiabesco e sinistro. Edith Holler è in parte una lettera d’amore al teatro che abbraccia con gioia uno stile gotico alla Tim Burton ma anche una bizzarra lettera d’amore alla città di Norwich, di cui si raccontano leggende e storie come quella del Re Gurgunt che dorme sotto il castello della città. Edith Holler è un romanzo piacevolmente inclassificabile e suggestivo, una fiaba per adulti ricca di mistero e personalità. Joanna Quinn,The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1596 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati