Da mesi la sinistra statunitense sta a guardare mentre il presidente Donald Trump cerca impietosamente di smantellare il sistema politico statunitense. Gli elettori del Partito democratico hanno preso atto dell’impotenza dei loro leader davanti all’attacco dei repubblicani contro le agenzie governative, all’espulsione degli immigrati con misure sempre più estreme e infine all’imposizione di dazi doganali senza precedenti che hanno seminato il caos nei mercati finanziari. Ma ora c’è la sensazione che la frustrazione nei confronti dell’amministrazione Trump stia crescendo, e che possa sfociare in qualcosa di più grande.
È successo più di una volta che i rappresentanti repubblicani del congresso fossero criticati negli incontri con i loro elettori, mentre decine di migliaia di persone continuano a partecipare agli eventi nelle aree rurali organizzati dal senatore Bernie Sanders. La settimana scorsa Cory Booker, senatore democratico del New Jersey, ha protestato contro le politiche della Casa Bianca parlando per più di venticinque ore di seguito al senato, in un discorso che ha avuto milioni di like sui social media. Il 5 aprile decine di migliaia di persone sono scese in piazza. In tutto il paese – dai piccoli centri abitati alle città di medie dimensioni fino alla capitale Washington – gli elettori preoccupati per il futuro della democrazia hanno mandato un messaggio chiaro di opposizione, con una forza che finora non si era vista.
Whalen ha comprato cento cartoline e vuole scrivere a ogni senatore
Le manifestazioni, organizzate da associazioni legate al Partito democratico, hanno coinvolto decine e in alcuni casi centinaia di migliaia di persone. A Boston 25mila manifestanti hanno occupato le strade in una giornata gelida. Ad Atlanta erano in ventimila, a Chicago trentamila, a Washington più di centomila.
Per qualcuno le proteste sono state un momento catartico, una dimostrazione di forza e solidarietà dei progressisti che sembravano non essersi ancora ripresi dalla sconfitta elettorale di novembre. Buona parte dei manifestanti erano elettori democratici che avevano votato per Kamala Harris alle presidenziali. La varietà degli slogan e dei temi – dall’immigrazione alla difesa dell’Ucraina, dai diritti della comunità lgbt alla libertà di stampa – dimostra quanto sia vasta la portata dei decreti firmati da Trump. Per molti manifestanti le questioni politiche hanno conseguenze personali.
Kate Norton, scienziata che lavora per un’industria farmaceutica del Colorado, è volata a Washington con il marito per partecipare alla grande manifestazione al National mall, il parco che ospita molti dei monumenti e musei della città. “Penso che la nostra democrazia stia scomparendo e sono convinta che l’intero stile di vita americano stia cambiando”. Norton è contraria al piano di Trump per eliminare il dipartimento dell’istruzione e ridimensionare le iniziative che questo finanzia. Suo figlio ha potuto partecipare a un programma federale nella scuola pubblica, e Norton teme che domani altri bambini non potranno avere la stessa opportunità.
Prodotti cinesi
Harry Lui ha raccontato di aver deciso di partecipare alla protesta di Boston dopo la morte della madre, che soffriva di demenza. Lavora nell’assistenza clienti per la catena Whole Foods ed è turbato dai tagli voluti da Trump ai National institutes for health, l’agenzia federale che conduce e finanzia la ricerca medica. “Hanno ridotto i fondi per una serie di studi, compresi quelli sulla demenza”, dice.
Anche se Trump è il bersaglio principale dell’ira dei manifestanti, alcuni criticano anche Elon Musk, miliardario del settore tecnologico che è diventato una sorta di braccio destro del presidente.
Durante la manifestazione di New York, che a metà pomeriggio copriva quasi venti isolati nel centro di Manhattan, alcuni partecipanti si sono scambiati storie sulle proteste contro la Tesla, la casa automobilistica di Musk. Di recente le concessionarie del gruppo sono state prese di mira da chi contesta il ruolo di Musk alla Casa Bianca. L’intervento del miliardario nella politica del Partito repubblicano ha irritato i parlamentari conservatori, che ora temono di essere sfidati alla primarie da politici finanziati dal miliardario. Ma la settimana scorsa il progetto di Musk ha subìto una battuta d’arresto in Wisconsin, quando il suo candidato è stato nettamente sconfitto per l’elezione di un giudice alla corte suprema dello stato.
Tez Flanaign, residente a Westchester, nello stato di New York, è un elettore indipendente (nel 2024 non ha votato né per Trump né per Harris), ha partecipato a una protesta davanti a una concessionaria Tesla, e il 5 aprile è sceso in piazza a New York. Critica Trump per aver abbandonato l’Ucraina e aver avviato negoziati diplomatici con la Russia. “L’Ucraina sta combattendo per il mondo libero e la democrazia”, sostiene Flanaign.
Alcuni manifestanti erano preoccupati per la situazione economica e il rischio di tagli ai programmi sanitari e al welfare. Le proteste sono state organizzate prima dell’annuncio dei dazi sulle importazioni da quasi tutti i paesi del mondo, ma il panico sui mercati e l’impatto negativo sulle famiglie hanno portato anche questo tema al centro della protesta. Tulio Tobar si è detto preoccupato per gli effetti che le espulsioni di immigrati avranno sulla sua azienda, specializzata nella cura degli spazi verdi. Elettore democratico, Tobar è convinto che le conseguenze non saranno uguali per tutti. “Trump ha molti soldi, a lui e ai suoi amici milionari non succederà nulla. Ma per noi delle classi medie e basse ci sarà da soffrire parecchio”, ha detto in spagnolo.
A Boston Annie Whalen, proprietaria di un negozio di fiori nella zona dei monti Berkshires, è arrivata in città con la famiglia. Era la prima volta che manifestava. Whalen importa fiori dal Canada e teme che i dazi di Trump “possano rovinare l’attività”. Altri prodotti di cui si rifornisce arrivano dalla Cina. “Prima sono aumentati del 25 per cento, ora del 54 per cento”. Whalen ha comprato cento cartoline e vuole scrivere a ogni senatore per chiedergli di “affrontare Trump e mostrare un po’ di spina dorsale”.
Nel centro di Los Angeles migliaia di persone si sono radunate in un pomeriggio caldo per un corteo di quasi due chilometri fino al municipio. C’era anche Julia Florey, una donna originaria del Minnesota che si è trasferita in California due anni fa. In passato ha lavorato in Texas come avvocata e interprete per i bambini e le donne migranti delle famiglie separate dalle autorità, quindi conosce bene la politica inflessibile dell’amministrazione Trump. È un’esperienza che non potrà mai dimenticare. Florey ha rivolto un pensiero a tutte le persone che hanno perso le speranze. “Voglio dire che sono dalla loro parte e che non sono sole”.
Questione di numeri
Molti democratici si sono sentiti impotenti davanti a un presidente che sembra inarrestabile e che sta forzando i limiti dell’autorità costituzionale espellendo i migranti, congelando i finanziamenti approvati dal congresso e punendo le università accusate di non aver arginato l’antisemitismo nei campus.
Alcuni considerano ingenua l’idea che una protesta, anche se su scala nazionale, possa avere un effetto sulle politiche di Trump e Musk. Ma molte persone sono convinte che i cittadini possano e debbano manifestare la loro opposizione, e che il silenzio sia fuori discussione. “È uno di quei momenti in cui la gente può svegliarsi e trovare energie”, ha detto Michael Palmer, reduce di guerra di Whatley, in Massachusetts, che oggi lavora nell’amministrazione di un ospedale.
Quando era in servizio in Germania, Palmer ha assistito alla caduta del muro di Berlino e ha osservato da vicino il desiderio di libertà politica dei tedeschi. Oggi ha paura che gli statunitensi siano diventati troppo passivi e che i democratici si occupino solo di strategia politica: “In questo momento non sono sicuro che i progressisti debbano concentrarsi sul modo per riconquistare il potere. Credo sia importante fermare l’emorragia al più presto. Se non combattiamo con le unghie e con i denti per salvare il nostro paese, potremmo perderlo per sempre”.
Altri parlano dell’importanza di organizzare eventi pubblici e della necessità di mostrare la forza di chi vuole difendere la democrazia. “Spero che chi non ha il coraggio di parlare, quando vedrà cosa sta succedendo e capirà che siamo sempre più numerosi, allora deciderà d’impegnarsi”, spiega Jennifer Cooper, artista e insegnante del Maryland che ha partecipato alla manifestazione di Washington. “Sarà tutta una questione di numeri. Dobbiamo mettere in minoranza gli oppressori. Le persone disposte a difendere la democrazia devono essere più di quelle che non si preoccupano di farlo”. ◆ as
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati