Da Teheran bisogna percorrere mille chilometri per arrivare a Nashtifan, vicino alla frontiera afgana. Il nome della cittadina in persiano vuol dire “morso della tempesta”.
Siamo in quaranta persone e arriviamo dalla capitale iraniana e da Mashhad. Soggiorniamo a Khvaf, pochi chilometri a nord di Nashtifan, in rustici resort ecologici costruiti davanti a un gruppo di mulini. Fino a tarda sera rimaniamo ad ascoltare il dotar, una sorta di liuto a due corde, e i grandi maestri del maqam, il canto tradizionale della regione di Khorasan. Poi al mattino andiamo alla scoperta di questi mulini, nell’aria primaverile che rinfresca il paesaggio desertico.
Abbiamo di fronte una rupe di circa venti metri sopra la quale si trovano questi venti mulini ad asse verticale. La nostra guida e specialista del patrimonio locale, Homan Bazmara, ci spiega che sono costruiti con materiali semplici: mattoni, argilla e legno. Al piano terra si trovano una macina e un deposito per conservare grano e farina, mentre sopra ci sono le pale, fatte di tavole sottili, protette da muri con una larga apertura davanti e una più sottile dietro, così da limitare il rischio di rotture e assicurare il movimento nel senso giusto.
Il legno usato è quello di pino e la pietra per la macina, che pesa nove quintali, proviene dalla montagna di Seno, a 150 chilometri da Nashtifan.
Dopo aver tagliato la pietra per darle la sua forma circolare, gli abitanti si organizzavano per portarla fino al mulino: la mettevano in verticale, la foravano al centro e nel buco infilavano un asse di legno, a cui legavano delle corde per trascinarla con i buoi. Questo lavoro era accompagnato da canti, poesie, musica e balli. Poi era sacrificata una pecora per far passare la macina sul sangue dell’animale e, una volta arrivati al mulino, erano rivolti degli auguri al proprietario.
Secoli di storia
L’Iran orientale, in particolare la regione di Khvaf, è molto ventoso. C’è il vento del nord, che proviene dalla città storica di Nishapur. Quello dell’est che soffia dall’Herat, in Afghanistan. E infine quello che scende dalle montagne del Sistan, a sud, e che soffia per 120 giorni all’anno, tra metà primavera e la fine dell’estate. Ma è proprio il vento che ha assicurato la prosperità della città. Nashtifan infatti non è sulle rive di un fiume e non è ricca di vegetazione, come altre città del paese. Tuttavia, gli hammam, le moschee e i khan (i caravanserragli) erano tanti, grazie alle carovane cariche di grano che arrivavano fin qui per ricavare la farina destinata in parte all’Iran e in parte all’Afghanistan.
Questi mulini a vento hanno sei secoli, ma sembra che ce ne siano stati altri negli anni precedenti all’epoca islamica, anche se la prima citazione scritta risale alla fine dell’epoca timuride, nel 1507. All’arrivo dell’islam gli abitanti della regione rimasero fedeli allo zoroastrismo e continuarono a seguirlo anche dopo l’arrivo del potere musulmano in Persia. Oggi la popolazione è soprattutto sunnita, ma rimangono ancora alcuni segni dello zoroastrismo, che i fedeli si premurano di far conoscere durante le visite guidate.
◆ Ali Mohammad Etebari ha dedicato gran parte della sua vita a prendersi cura dei mulini a vento di Nashtifan, nel nordest dell’Iran. In un’intervista all’International wood culture society, Etebari ha raccontato: “Mettiamo il grano, otteniamo la farina, facciamo il pane naan. Prima facevo l’autista, negli ultimi ventotto anni mi sono occupato dei mulini”. L’anziano custode ha spiegato che di solito più persone di una stessa famiglia si occupavano di un unico mulino, ma che lui era rimasto da solo a occuparsi dell’intera struttura. E che la conservazione quasi perfetta dei mulini a vento era dovuta al clima arido: “Qui non c’è umidità”, ha detto. “È un clima molto secco, quindi i materiali durano a lungo”. Il grano prodotto in modo artigianale, secondo Etebari, è “molto diverso, più gustoso e salutare”. Il custode ha raccontato che per far funzionare i mulini non si usava nessuna forma di energia se non quella eolica e che i tronchi degli alberi impiegati per il pozzo verticale e le altre parti erano lasciati con la corteccia intatta, altrimenti il legno si sarebbe spaccato. Ora diversi enti del paese, tra cui l’Iran heritage foundation, stanno restaurando i mulini, considerati uno dei primi esempi di tecnologia eolica al mondo.
Anche i grandi esploratori arabi hanno parlato di questi mulini a vento, come per esempio il viaggiatore e storico Ibn Battuta alla fine del trecento, e a quanto pare sarebbero stata la sola cosa che avrebbe stupito gli arabi durante la loro conquista dell’Iran nordorientale.
Secondo l’Enciclopedia Britannica, in passato nel paese c’erano seicento mulini e l’idea di costruirne altri si sarebbe diffusa oltre i confini dell’Iran grazie all’invasione mongola. A Nashtifan i mulini sono rimasti in attività fino al 1990.
Nel 2002 l’Iran si è reso conto dell’importanza di questo patrimonio e ha cominciato a stanziare fondi per la sua tutela e per il restauro. Nel 2017 Iran e Afghanistan hanno chiesto di inserire i mulini nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco. Da allora sono visitati da molti turisti iraniani e stranieri, e hanno assunto un valore simbolico come parte integrante della storia dell’Iran orientale e della gloria di questa città desertica e arida. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati