Ora che non si può viaggiare liberamente, ricordo impressioni di città che ho visitato. La prima cosa che ricordo e forse la più strana mi è successa a Noto, in Sicilia. Era un pomeriggio ai primi di ottobre e c’era un tempo bellissimo. Dopo aver preso una granita di mandorle in un bar, ci venne voglia di vedere il teatro che era lì di fronte. Era un teatro con un certo fascino, ma come ce ne sono molti: dell’ottocento, con i palchi dorati, la tappezzeria e il sipario di un velluto rosso acceso. Se lo ricordo è perché appena entrammo nella sala mi misi a piangere. O meglio, le lacrime cominciarono a rigarmi il volto, senza preavviso. Non so perché piangessi. Non sentivo nulla di speciale, almeno non consapevolmente: né una grande angoscia per gli antichi netini che erano stati in quel teatro e ora erano morti né una schiacciante emozione estetica. Qualche altra cosa senza nome scatenò il mio pianto. Sono stata in teatri molto più sconvolgenti, ed erano giorni che vagavamo per la Sicilia, un’isola straripante di monumenti, bellissima. La stessa Noto, ricostruita secondo i princìpi del barocco dopo il terremoto del 1693, ha edifici molto più notevoli e importanti. Per qualche ragione fu quel modesto teatro a scatenare in me quella reazione.

Scrivendo di Noto ricordo una reazione simile e che mi sorprese allo stesso modo una mattina a Londra. Mi stavo avvicinando alla Royal Albert hall pensando a Bob Dylan, credo, e voltandomi vidi una sorta di tempietto che mi sembrò insensato per la sovrabbondanza di oro e la fragile struttura, ma che mi commosse, come la visione di un poeta romantico. Il teatro di Noto e l’Albert memorial si somigliano perché sono un po’ kitsch, e sono molto lontani dalle cose che di solito mi affascinano e mi commuovono. Trovo tutto quell’oro eccessivo e un po’ freddo, eppure anche quella volta mi parlò con un’eloquenza muta che ancora oggi m’intriga. Perché? Sono emozioni che si possono capire solo attraverso una poesia.

Mi viene in mente adesso che a Catania ci infilammo in un vicolo e trovammo una trattoria nascosta in una specie di cortile, con un paio di tavoli per strada. Non ricordo cosa mangiammo, sicuramente qualcosa di delizioso, e lo facemmo accanto a dei muri incredibili, sgretolati e pieni di buchi. Tra quelle rovine avveniva il viavai di piatti. Chiedemmo al cameriere: cosa è successo qui? Con lo sguardo rivolto verso il cielo, unendo i cinque polpastrelli, ci rispose: “Eh! La guerra”. Ma la guerra è finita nel 1945!

In quel viaggio mi sorprese trovare, nella chiesa di San Nicolò, una targa dedicata a Jan Palach. Sulla targa si legge: “A perenne ricordo / di Jan Palack (sic) / Volontaria torcia umana / il 19 gennaio 1969 in Praga / Per affermare il diritto di tutte le nazioni / all’indipendenza alla sovranità alla libertà / nel rispetto dei valori umani / la Federazione del Nastro Azzurro / di Catania / nell’anniversario pose”. Perché quei cordiali e nobili catanesi abbiano scelto quel luogo per collocare la targa in onore del ragazzo che a vent’anni si diede fuoco in segno di protesta per l’invasione dei sovietici non lo so. Ma in quell’angolo curioso si uniscono il barocco siciliano e la primavera di Praga.

Nelle profondità terrestri

Ricordo anche la basilica santuario della Madonna delle lacrime, a Siracusa. È un edificio sorprendente, a pianta circolare, che fa pensare più a Brasilia che al regno delle Due Sicilie. Credo che abbia delle vibrazioni particolari. È stato costruito attorno a un piccolo smalto dall’aria volgare, una riproduzione da due soldi di una madonna che negli anni cinquanta compì un miracolo per una coppia di sposi siracusani. All’interno c’è una cappella piena di ex voto, gambe finte, perfino un vestito da sposa. Fuori dalla basilica vidi una fila di formiche che trasportavano cose al formicaio. Mi chinai a osservarle e mi resi conto che passando da un certo punto facevano tutte una deviazione tracciando un arco, come se stessero schivando qualcosa di invisibile. Mi dissi che doveva esserci qualcosa nelle profondità terrestri che le formiche avvertivano e schivavano.

Un hotel e una luce di Lisbona li ricordo per un libro di cortesia lasciato nella stanza per i turisti stanchi di camminare. Era di Sophia de Mello, in versione bilingue portoghese e francese. Anche a un ospite prima di me erano piaciute le poesie, al punto da strappare le pagine 51 e 52, per cui potei leggere a pagina 53 solo la versione francese di questa bella e portoghesissima immagine: “Attraverso il tuo cuore passa una barca / che non smette di seguire / senza te il suo cammino”. Al quinto piano di quella strada in salita, il mio cuore fu attraversato dalla nave che prosegue la sua strada senza di me. Voglio andare in viaggio per vederla passare. ◆ fr

Bárbara Mingo Costales è una scrittrice e poeta spagnola nata nel 1978.

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Questo articolo è uscito sul numero 1420 di Internazionale, a pagina 11. Compra questo numero | Abbonati