Com’era l’estate italiana quando ogni canzone faceva pensare alle barche e al languore della mezza sera a prescindere dalla stagione, e anche a prescindere dal posto in cui si stava, perché era la musica a portarti sempre e comunque a sud? Forse una risposta la si trova in Paisà got soul. Soul, aor & disco in Italy 1977-1986, titolo di una compilation uscita per l’etichetta Four Flies records curata da David Nerattini, che già dalla grafica rimanda ai dischi trovati per caso nelle bancarelle dei mercatini stranieri, scoperte inaspettate che costringono a confrontarsi con un periodo della canzone italiana percepito come sempre in debito con le tendenze gotiche d’oltralpe o quelle funky statunitensi.

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Invece tra le voci che si sentono in Paisà got soul c’è un’aderenza spontanea e quel genere musicale che evoca la sigla di una trasmissione televisiva, un formato che raggiunse l’apice con Soul train di Dan Cornelius, come rievoca Hanif Adburraqib nel bellissimo libro Piccolo diavolo in America. Un omaggio alla performance afroamericana (Black Coffee).

È interessante il modo in cui questa compilation, che mette insieme cantanti istituzionali come Peppino di Capri e Beppe Cantarelli, racconta una storia di suoni liberatori per il corpo nel loro essere melliflui e anche straordinariamente aperti a qualcosa d’inaspettato, come il velluto che diventa sole in Ti ricordi Vienna? di Gino D’Eliso. E permette a un musicista di riscrivere la propria posizione e di affrancarsi da un contesto già dato, tra “occhi persiani e campagna inglese”, come canta D’Eliso. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1467 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati