C’è una scena di Pistol, la miniserie di Danny Boyle sui Sex Pistols attualmente disponibile su Disney +, in cui l’attore che interpreta il cantante Johnny Rotten si gira verso Siouxie, che sta cantando in un club, e dice: “Questa cosa mi piace, è una cosa seria”, e intuiamo che dentro di sé sta covando pensieri su come sopravvivere al punk e dargli una gravità diversa. È uno dei pochi momenti degni di nota in un prodotto che ricorda il remake caramelloso di Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Amazon, a sua volta più vicino a Euphoria e Gossip girl, che al film di Udi Edel: evidentemente dopo tanti anni il marciume si trasforma per forza in zucchero.
Ascoltando Fiesta, l’album d’esordio dei Leatherette in uscita per Bronson Recordings, vengono in mente proprio la polvere e lo zucchero, come se i sentimenti post-punk di questa band s’innestassero su una dolcezza che sa farsi rifiuto, come nell’esemplare Fiesta: “I love you and I hate myself, I love you ’cause you’re bad for my health”. Se nel punk spesso ci si odiava tutti per un riflesso della propria ripugnanza, molte band post-hardcore ed emo hanno fatto dell’amicizia un codice inossidabile.
E per questo sorrido quando i Leatherette dicono “Non siamo una di quelle band costituite da amici di lungo corso. È strano, perché siamo individui diversi, ma dobbiamo per forza amarci l’un l’altro”. Ascoltando Thin ice, uno dei brani più belli del disco, emerge il piacere di una costrizione. Immaginate gli American Football, ma con meno malinconia, e più rumore. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1478 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati