Un autunno magniloquente: è possibile che i vostri scambi sui dischi usciti di recente si siano intensificati in una tabula carica elettrificata. Volevo magia dei Verdena, Illusion di Edda, La paura va via da sé se i pensieri brillano di Nada e Ama il prossimo tuo come te stesso di Manuel Agnelli. Quest’ultimo allora si è comportato come una specie di male che torna a farsi sentire dopo un periodo in cui lo credevate neutralizzato o scomparso: immaginate di avere un tatuaggio che indica la vostra affiliazione a una congrega a cui avete dedicato molti dei vostri disordinati e irruenti anni, immaginate di esserne usciti e che poi la voce che ha guidato la maggior parte di quei rituali torni a farsi sentire, e che il marchio sulla pelle riprenda a brillare.
Ascoltando la base sinfonica lacerata sullo sfondo di Tra mille anni mille anni fa, il brano che apre il disco solista di Manuel Agnelli, ma anche la progressione iniziale di Signorina mani avanti o il positivismo lirico di Milano con la peste, chi conosce a memoria Ballate per piccole iene (quasi vent’anni fa) e si è limitato ad annuire quando veniva citato, fingendosi poco partecipe per il desiderio di restare per sempre dimentichi non tanto del dolore quanto della mano che lo ha risanato (così scriveva Edgar Lee Masters), è scortato con gentilezza verso quell’abisso di organi sentimentali e sessuali combinati un po’ a caso che tanto lo aveva sedotto in passato. Per citare un’altra reduce di congrega, “mi ha un po’ stufato il suo porsi cristologico, ma mi pare uno che si salva e sa il fatto suo”. Bisogna onorarlo, il mago a cui il trucco riesce ancora. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1482 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati