Grazie a un paio di eventi all’Angelo Mai di Roma, curati da Scuderie MArteLive, sono riuscita a mettere a fuoco una cosa nella cosmologia musicale: il senso di comunità o di band allargata non solo come strategia di sopravvivenza (più collaborazioni si fanno più si alimentano le fonti di reddito) o come contenitore politico, ma come cassa di risonanza che fa vibrare il lavoro di ogni musicista in maniera più alta e complessa, creando una serie di formazioni itineranti e informali che instaurano rapporti elettromagnetici a vicenda. Il primo spettacolo da recuperare è quello legato a Motel chronicles, in cui Emidio Clementi e Corrado Nuccini danno una vita multiforme al testo dello scrittore Sam Shepard (il disco è uscito per 42 Records) dopo aver già lavorato su Emanuel Carnevali e T.S. Eliot.

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Sul palco con loro c’erano Francesca Bono ed Emanuele Reverberi, e in alcuni momenti anche Stefano Pilia. L’aspetto interessante è osservare come una luce americana cada su ognuno di loro in maniera diversa, a partire dall’attaccamento di Clementi, che è come un palombaro che non dimentica la struttura del proprio corpo e della propria voce quando attraversa le correnti d’oltreoceano, mentre l’approccio di Nuccini somiglia più a uno studio fisico del deserto. Bono invece offre un contraltare elettrico, notturno e atmosferico che permette alla tromba di Reverberi di risultare come un passante singolare, un viandante che Shepard ha raccontato spesso. La natura di Motel chronicles è questa: farsi passaggio, diventare altrove. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1537 di Internazionale, a pagina 110. Compra questo numero | Abbonati