C’è un momento della vita culturale a cui ci si appassiona, cioè quando un interprete considerato un caratterista o un attore dalla carriera discontinua o commerciale da parte del pubblico – si veda Nicolas Cage – fa la “svolta d’autore” e comincia a indurre tacito rispetto. Sarebbe facile inquadrare il nuovo disco di Piotta intitolato ’na notte infame in questa cornice, così come accadde ai tempi di Tommaso nel 2004 e in altre circostanze, ma sarebbe fuorviante: non si tratta di un salto su un altro piano da parte dell’artista romano, ma di un’espansione di possibilità che la sua scrittura e il suo immaginario contengono dalle origini.
Lo si capisce dalla lettura di Corso Trieste, il romanzo in uscita per La Nave di Teseo il 19 marzo, guidato dalla vita e dalla morte del fratello, Fabio Zanello, avvenuta qualche anno fa. Un fratello che figura come voce e autore nel disco, così come nel romanzo, e rappresenta una sorta di sguardo alternativo a quello dell’autore quando le distanze anagrafiche si assottigliano. Entrambi, chi con più estro chi più metodico, hanno la capacità di trasformare la città stessa in un personaggio o in una crisi mutante, in cui si agitano rime, mode, convinzioni politiche, ragazzi che verranno ammazzati a colpo di pistola. Romanzo-saggio in technicolor, Corso Trieste è la traccia parallela di ’na notte infame, e ha lo stesso ritmo di Professore, un gran pezzo in cui il monito “parla italiano” si ridicolizza in bocca, ma anche l’elegia viva nel pop narrativo e romano di Lode a Dio, che “non ha nome definitivo e manco un’immagine azzeccata”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati