Quando un mondo finisce, ciò che era lì da anni, e a cui non facevamo caso, improvvisamente scompare. Per esempio le panchine coperte dove i figli degli operai e dei contadini del socialismo reale si sedevano ad aspettare lo scuolabus. Sono state abbattute da un giorno all’altro. Al loro posto ci sono manifesti monumentali con il volto di Helmut Kohl, il candidato dell’alleanza elettorale cristiano-democratica che all’inizio del 1990 si batteva per unificare la Repubblica federale alla morente Repubblica democratica il più rapidamente possibile. Mimi, protagonista del romanzo di Manja Präkel, ha quattordici anni. Il paese in cui è cresciuta sta scomparendo. Präkels descrive la fine della vecchia epoca e l’inizio della nuova attraverso osservazioni minute. Il suo linguaggio è laconico, l’umorismo asciutto. L’improvvisa trasformazione le ricorda L’invasione degli ultracorpi, film visto su un canale tv della Germania Ovest. “Le persone per strada erano cambiate”, osserva. “I ladri di corpi erano davvero atterrati?”. La caduta del muro di Berlino ha messo in moto molte cose, e l’anarchia si diffonde nella fase di transizione. Insegnanti, genitori e poliziotti perdono il controllo, i ragazzi si ribellano rasandosi la testa, indossando bomber e attaccando punk, neri e senzatetto. Si diffondono lo spaccio di droga e la depressione. L’insegnante di russo soprannominato Brežnev s’impicca. Oliver, un ragazzo timido vicino di casa di Mimi, diventa un lea-der neonazista e si fa chiamare Hitler. Mimi e i suoi amici, perseguitati dalla destra come “zecche”, sono in minoranza. Quando mangiavo ciliegie sotto spirito con Hitler descrive la deriva di un luogo verso la violenza.
Christian Schröder, Der Tagesspiegel
Il crinale di Michael Punke parla di uno dei primi trionfi di Cavallo Pazzo sul campo di battaglia, e fin dall’inizio il condottiero lakota è presentato come un uomo a parte: “Era evidente che Cavallo Pazzo fosse diverso, con la pelle e i capelli più chiari di quelli degli altri”. È il 1866 e un battaglione dell’esercito statunitense ha ricevuto l’ordine di costruire un forte ai piedi dei monti Bighorn, nel territorio del Wyoming, come stazione di passaggio verso il Montana. Ma il forte si trova nel cuore del sacro territorio di caccia dei lakota sioux. Cavallo Pazzo condivide la convinzione della sua gente che il forte non debba stare lì, ma capisce che gli armamenti e gli uomini del nemico lo rendono inespugnabile. Punke fa di Cavallo Pazzo la mente dietro la strategia militare, l’uomo con l’intuito e l’autorità per imporre una disciplina tattica a guerrieri abituati a conquistare la gloria attraverso imprese individuali. L’autore si concentra anche sui soldati statunitensi, ma si tratta di un gruppo di personaggi relativamente rozzi. Come i combattenti lakota, il lettore non vede l’ora che arrivi la resa dei conti. E puntualmente arriva, in un’emozionante serie di trappole e violenze strazianti, una sequenza d’azione che fa parte della leggenda.
Sam Sacks, The Wall Street Journal
Cash Carraway sogna di trovare un posto per sé e per la figlia piccola. Fantastica anche di comprare un’auto per poterci vivere, ma non può permettersi d’imparare a guidare. Si chiede se unirsi a una setta, solo per il letto e il cibo gratuiti. Per lo più, però, si muove nel mondo degli annunci immobiliari. “Ci trasferiamo ogni sei mesi. Si passano i primi tre a sistemare la nuova vita, e i tre successivi a fare le valigie e a cercare un’altra casa”. Carraway conferisce alla sua lotta un’ironia cupa. La storia comincia nel 2010, quando si ritrova incinta e sola in un centro per donne vittime di violenza. È scappata dal suo fidanzato, il padre di sua figlia, che l’ha lasciata con un occhio nero e le parole d’addio “abortisci o lo farò io per te”. È cresciuta in mezzo alla violenza, subendo regolarmente le botte della madre, che l’ha cacciata di casa a sedici anni. L’unica cosa che la sostiene è alzarsi alle quattro del mattino per scrivere storie sulla sua vita. La porca miseria dà voce alla condizione, spesso taciuta, che spiega gran parte dell’attuale frattura del Regno Unito: milioni di persone non possono permettersi un luogo stabile da cui partire per costruirsi una vita.
Tim Adams, The Guardian
L’ambientazione principale di Il figlio del fisarmonicista è Obaba, l’immaginaria cittadina basca in cui Bernardo Atxaga ha ricreato, con toni arcaici, l’ambiente rurale in cui è cresciuto. Il romanzo racconta, tra l’altro, il deterioramento e la perdita definitiva di quel mondo idilliaco a causa del progresso, ma soprattutto per l’interferenza di una violenza storica nella cui spirale è intrappolato il protagonista David, spinto dalle circostanze ad aderire all’Eta. Ancora adolescente, scopre l’oscuro passato del padre, di professione suonatore di fisarmonica, che aveva collaborato con le autorità franchiste. Da quel momento in poi, il mondo di David è come oscurato dalla malvagità dei fascisti. Il resto del libro racconta il modo quasi inevitabile in cui David entra a far parte dell’Eta. Solo quando le cose cominciano a sfuggirgli di mano, David decide di emigrare negli Stati Uniti, dove, in un ranch, realizza il suo ideale di vita bucolica, con la moglie e le due figlie. Per il manicheismo del suo approccio, Il figlio del fisarmonicista è inutilizzabile come testimonianza storica: lo sviluppo del terrorismo basco è ridotto a un conflitto tra lupi e pastori, a prescindere da qualsiasi considerazione ideologica.
Ignacio Echevarria, El País
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