Cultura Suoni
But here we are
Foo Fighters (Danny Clinch)

C’è qualcosa di affascinante nella carriera dei Foo Fighters. Parliamo di una band che fa rock radiofonico di discreta qualità, che ha fatto le cose migliori almeno una decina di anni fa ma riesce ancora ad affascinare diverse persone. Ci sono molti motivi: Dave Grohl sembra un tipo in gamba, ha ancora un po’ di credito per aver fatto parte dei Nirvana, e Wasting light del 2011 faceva pensare a un rinascimento nelle fortune in calo del gruppo, anche se i dischi successivi erano mediocri. La morte del batterista Taylor Hawkins, avvenuta nel marzo 2022, è onnipresente nelle canzoni di But here we are. I testi dei Foo Figh­ters non sono mai stati particolarmente complessi, e le cose non sono cambiate: Under you contiene versi come “qualcuno ha detto che non ti rivedrò mai più”, un cliché stucchevole ma perdonabile, perché sincero. Ci sono anche brani esaltanti in questo disco, come i due pezzi di chiusura The teacher e Rest, che segnano un allontanamento dalla formula distintiva della band. Anche se i Foo Fighters non reinventano la ruota, But here we are a tratti provoca più emozioni rispetto ai dischi del loro passato recente.
Sunnyvale, Sputnikmusic

Further out than the edge
Speakers Corner Quartet (Marc Sethi)

Non è facile fare il tutto esaurito al Barbican di Londra, soprattutto se non hai neanche pubblicato un album, ma nel 2021 è successo agli Speakers Corner Quartet, diventati uno dei collettivi più famosi del sud della capitale britannica. Raven Bush, Peter Bennie, Kwake Bass e Biscuit suonano insieme dal 2006; si sono incontrati a una jam session chiamata Speakers Corner in un locale di Brixton. Hanno inciso un ep tre anni dopo e da allora hanno continuato a provare e a suonare dal vivo. L’obiettivo non era incidere musica, ma coinvolgere altre persone e creare una comunità. Negli anni hanno lavorato con talenti come Kae Tempest, Mica Levi, Sampha e Shabaka Hutchings, nomi che figurano anche nel loro atteso debutto, Further out than the edge. In 13 tracce gli Speakers Corner Quartet dipingono un quadro composto da una moltitudine di tonalità, senza rinchiudersi in un genere e permettendo ai collaboratori di esprimersi al meglio. Come nei loro concerti, gli ospiti vanno e vengono, senza lasciare stacchi disarmonici ma aggiungendo colori sempre nuovi. Una cultura dipendente dal pop zuccheroso è una cultura guasta. Gli Speakers Corner Quartet hanno dato vita a un progetto che è l’antitesi di tutto questo, dove lo scopo non sono lo spettacolo e i soldi. Al tempo stesso il collettivo racconta la decadenza della città che ama. Come un’onda che cresce, hanno aspettato il momento giusto.
Dhruva Balram, Loud and Quiet

Mitridate, re di Ponto è la prima opera seria di Mozart, composta a Milano quando aveva 14 anni su libretto di Metastasio. È strapiena di recitativi per l’azione e di arie per le emozioni, e anche un’esecuzione bella come questa può essere faticosa. La trama è contorta: meglio se ascoltate una volta tutta l’opera con il libretto in mano, e poi tornate alle vostre arie preferite. È la scrittura vocale e l’orchestrazione, sempre molto varia, che cattura l’ascoltatore. Si rimane stupiti di come Mozart riesce a creare momenti che non sono semplici pezzi spettacolari, ma sfrutta ogni occasione per creare un piccolo mondo diverso dal precedente. Nel ruolo di Mitridate abbiamo il baritenore Michael Spyres. La voce è forte e cupa nella sua ottava inferiore, ricca e colorata nella parte centrale, e squillante e tenorile nelle gloriose note alte, che sono molte. Rende il monarca travagliato un vero personaggio. Aspasia è un soprano di coloratura, e Julie Fuchs ha tutte le carte in regola. Sabine Devieilhe nei panni di Ismene irradia purezza e bellezza. Marc Minkowski e il suo gruppo, Les Musiciens du Louvre, suonano con precisione, attacchi puliti e tono raffinato. E il direttore infonde nell’opera un’energia irresistibile.
Robert Levine, ClassicsToday

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1515 - 9 giugno 2023

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