Nel suo ottavo, malinconico ma adorabile film, Alexander Payne ritrova Paul Giamatti nei panni di Paul, professore di letteratura classica alla Barton academy, un collegio maschile del Massachusetts in cui era stato uno studente brillante ma impopolare. Ora, scrittore fallito con mal celati problemi di alcol, Paul è ancora più impopolare come insegnante. Come punizione per aver rifiutato di alzare il voto di uno studente “illustre”, è costretto a passare le vacanze di Natale del 1970 nel campus, per tenere d’occhio gli holdovers, studenti che per motivi diversi non possono tornare a casa, tra cui Angus (Dominic Sessa), un piantagrane più brillante della media. Insieme a loro c’è anche la cuoca della scuola, Mary (Da’Vine Joy Randolph), che ha appena perso il figlio in Vietnam. Nessuna sorpresa che tra queste anime bloccate dalla neve nasca un’improbabile amicizia. Del resto il vero piacere del film non è nei colpi di scena ma negli elementi familiari, dall’antieroe solitario al look rétro esplicitamente in debito verso classici degli anni settanta di Hal Ashby, Peter Bogdanovich o Arthur Penn. The holdovers, anche se ben realizzato, è senz’altro un’opera minore nella filmografia di Payne, ma è potenzialmente destinato a diventare un classico nel sottogenere delle vacanze natalizie tristi.
Dana Stevens, Slate
Stati Uniti 2023, 133’. In sala
Francia 2023, 69’. In sala
Quentin Dupieux sforna film sempre più leggeri. E l’ultimo sembra una sintesi perfetta del suo cinema. Una rappresentazione teatrale è interrotta da uno spettatore, che si sente preso in giro. Lo dice forte e chiaro e non esita, pistola alla mano, a prendere in ostaggio l’intera rappresentazione di cui si sentiva a sua volta prigioniero. Il film si avventura in questa sospensione in cui avviene la rottura del patto tra teatranti e pubblico. Il film fa emergere la figura dell’eterno dimenticato del cinema d’autore: lo spettatore “medio” che per la prima volta si afferma come soggetto. Ma non è un eroe e attraverso il suo deragliamento Dupieux ci fa intravedere una strana ferocia che nello spazio codificato del teatro esprime la violenza sociale repressa dai costumi culturali.
Mathieu Macheret, Le Monde
Francia 2023, 93’. In sala
Joseph è un restauratore di mobili, vedovo, rannicchiato nel suo lavoro solitario, sconvolto dalla notizia della morte in un incidente del figlio e del suo compagno. La coppia aspettava un bambino, grazie alla gestazione per altri con una madre in Belgio. Allora Joseph decide di trovare a tutti i costi questa ragazza per scoprire cosa ne sarà del nipote non ancora nato. Guillaume Nicloux adatta il romanzo Le berceau di Fanny Chesnel, mettendo in risalto le motivazioni di un uomo in lutto e di una donna che partotirà una nuova vita. Imponendo alla pellicola un’elegante sobrietà insieme a qualche tocco di umorismo intreccia con finezza un “thriller filiale” che dà sostanza a questioni filosofiche e morali.
Guillemette Odicino, Télérama
Stati Uniti 2024, 112’. In sala
In questo film, tratto da un musical tratto da un film tratto da un libro, non rimane molto dello spirito che ha originariamente affascinato il pubblico. In particolare, il film del 2004 di Mark Waters (con Lindsay Lohan, Rachel McAdams e Amanda Seyfried) è stato un successo di critica e di pubblico ed è ancora considerato un punto di riferimento nel canone dei film per adolescenti. L’idea forse era di attualizzare il materiale originario a beneficio dei ragazzi di oggi. Ma questo Mean girls si appoggia troppo sul film precedente e non si capisce se è un omaggio, una satira o altro. I numeri di canto e ballo, poi, non sono indimenticabili né particolarmente divertenti. Il risultato è un teen movie in crisi d’identità, pallida imitazione del predecessore.
Hannah Strong, Little White Lies
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