A nove anni dal suo primo film, Les combattants, Thomas Cailley firma un’opera ad alto budget che, contrariamente alla media dei blockbuster francesi, è capace di stimolare riflessioni molto profonde. In The animal kingdom si parla di mutazione, ibridazione e interregno. L’umanità fa parte di questo regno? E quanto è disposta a ricordarselo? Come se si trattasse di una specie di pandemia, alcuni esseri umani si trasformano in ibridi di altri animali. Émile (Paul Kircher), sedici anni, si trasferisce al sud con il padre (Romain Duris) per seguire la madre, una delle “creature”, trasferita in un centro d’internamento. Mentre lei e altri mutanti riescono a fuggire nella foresta, Émile comincia a sentire il suo corpo che cambia. Il film esplora un mondo parallelo, ma la società che descrive è perpendicolare alla Francia di oggi, ne riconosciamo la risposta alla crisi. Rinchiudiamo quindi le “creature”, le temiamo, le nascondiamo, le studiamo. Del resto chiedersi seriamente “cosa accadrebbe se…”, come fa il film, significa guardare quello che succede davvero. Forse le creature non arrivano a rappresentare o simboleggiare altre figure oppresse, precise e identificabili. Eppure i concetti di minoranza, emergenza, differenza, e la risposta fascista standard a questi, seguono schemi pratici e identificabili. E Cailley li usa nel suo film considerando tutto dal punto di vista emotivo.
Luc Chessel, Libération
Francia 2023, 128’. In sala
Francia 2024, 110’. In sala
Dopo France, incursione nel mondo dei mezzi d’informazione, Bruno Dumont prosegue la sua esplorazione nell’immaginario di massa prendendo di mira la fantascienza, dalla saga di Star wars a 2001: odissea nello spazio. All’annuncio della nascita del Margat, una specie di anticristo nato dall’unione di una coppia di esseri umani, le forze intergalattiche del Bene e del Male si danno appuntamento sulla costa settentrionale della Francia per il loro scontro finale. Si formano due squadre: da una parte Jane (Anamaria Vartolomei) e Rudy, guerrieri del bene, discepoli della Regina (Camille Cottin); dall’altra Line (Lyna Khoudri) e Jony (Brandon Vlieghe), in missione per conto di Belzebù (Fabrice Luchini). Nell’Impero troveremo poche tracce della parodia folle che la locandina del film sembra promettere. Dumont è Dumont, la fantascienza è usata solo per amplificare le peculiarità del suo cinema. Ma la loro unione conferisce al film una strana bellezza ibrida che mescola sacro e profano: spade laser che illuminano il volto appena truccato delle attrici, un balletto di astronavi nel cielo in pieno giorno, con dialoghi che sembrano mutuati da Guerre stellari, recitati tra le dune che si affacciano sulla Manica.
Murielle Joudet, Le Monde
Stati Uniti 2023, 111’. Mubi
Negli istanti iniziali di Gaso-line rainbow, un ragazzo rivela la sua speranza di trovare un luogo che gli “strani” come lui possano chiamare casa. Un inizio del genere può sollevare qualche dubbio di originalità: il cliché del liceale outsider è stato rivisitato all’infinito. Presentato come il film on theroad della generazione Z, Gaso-line rainbow ripropone immagini familiari degli appena diplomati Makai, Micah, Nathaly, Nichole e Tony in viaggio attraverso l’Oregon per un’ultima avventura insieme: canti di gruppo, feste intorno al fuoco e teste che si sporgono dal finestrino per assaporare la brezza estiva e il dolce richiamo della libertà. Ci muoviamo in un nuovo territorio quando un incidente mette fuori uso il loro scassato furgone e il gruppo si trova in mezzo al deserto, in cerca di una strada da seguire. I fratelli Ross si sono fatti un nome mescolando documentario e finzione, per il loro cinema verità sciolto e libero. Uno stile che sanno adattare perfettamente alla loro prima opera dichiaratamente di finzione. I ritratti degli adolescenti si costruiscono un po’ per volta e finiscono per dare l’immagine di un’America ansiosa e instabile, dove però non è poi così impossibile trovare delle sacche di gentilezza e bontà.
Rebecca Liu, The Guardian
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