Il colombiano Tomás González (Medellín, 1950) è uno dei più apprezzati scrittori sudamericani di oggi. La luce difficile, uscito nel 2011, è forse il suo romanzo più noto e condensa il meglio delle sue capacità narrative. David, un anziano pittore, scrive le sue memorie con l’aiuto di una lente d’ingrandimento: sta diventando cieco e ha sostituito la sua arte con la scrittura. Ha appena perso la moglie, Sara, e vive in un angolo sperduto della Colombia con una governante, Angela, un autista e un giardiniere. Ciò che scrive è accaduto vent’anni prima, quando lui, Sara e i loro tre figli, Jacobo, Pablo e Arturo, vivevano a New York. Jacobo, il più grande, è rimasto paraplegico dopo un incidente d’auto. Il dolore insopportabile lo porta a programmare la sua eutanasia in uno stato in cui è permessa. Lo accompagnerà Pablo: il resto della famiglia rimarrà a New York in attesa della notizia della sua morte. I brevi capitoli di La luce difficile fluttuano con sottigliezza tra il 1999 e il 2018 e tratteggiano altri dettagli sui vari protagonisti. Fin dalle prime pagine ci sentiamo in un mondo concreto e realistico. Mentre David aspetta la notizia della morte del figlio ritrova una connessione con la vita attraverso la pittura. Nel romanzo vari personaggi affrontano la morte, lenta o improvvisa, in una narrazione che evita sempre il meccanico, l’astratto, il solenne o il moralistico. La luce difficile è un libro a suo modo anche gioioso sull’esperienza del tempo.
Carlos Pardo, El País
L’attenzione di Jean-Baptiste Adamsberg, il poliziotto flâneur caro alla scrittrice di gialli e archeologa Fred Vargas, è attirata da un omicidio consumato a Louviec, un villaggio della Bretagna vicino a Combourg e al suo castello. Il principale indiziato è una personalità del paese, un eccentrico discendente di François-René de Chateaubriand. Convinto della sua innocenza, Adamsberg parte con tutta la sua squadra per Ille-et-Vilaine quando gli omicidi cominciano a moltiplicarsi. In Sulla pietra, il dodicesimo caso di Adamsberg, la “formula magica” di Vargas non cambia molto. L’autrice si lascia scappare degli indizi da interpretare (qui è l’uso di un raro pugnale come arma del delitto) e come sempre l’indagine poliziesca diventa anche una storia basata sulle leggende locali. Per esempio quella del fantasma del castello di Combourg che tormenta gli abitanti del villaggio di notte sbattendo la gamba di legno sul selciato. Il protagonista assoluto di questo coinvolgente romanzo rimane Adamsberg, un investigatore lontanissimo da qualunque stereotipo poliziesco, posseduto da un’innata nonchalance che a volte sembra sciatteria se non addirittura indifferenza. Alla fine il commissario risolve il suo caso usando metodi opachi, se di metodo possiamo parlare. La forza del libro è forse anche la sua debolezza: l’autrice è talmente occupata a costruire la storia intorno al suo personaggio con la testa tra le nuvole da lasciarla scivolare via, alla fine, troppo facilmente.
Abel Mestre, Le Monde
Se la vita cambia ovunque, su un’isola cambia un po’ più lentamente. I cinque componenti della famiglia Sander vivono su un’isola non specificata del mare del Nord e sono la “vecchia aristocrazia isolana”, visto che abitano lì da generazioni e la loro vecchia casa è la più bella dei dintorni. Ma le cose per loro non vanno benissimo. Vent’anni prima Jens Sander, un tempo capitano di marina, ha lasciato la famiglia per lavorare come forestale su una duna remota. Hanne, sua moglie, continua a fare i letti nelle vecchie stanze che non affittano più a nessuno perché i turisti preferiscono strutture più moderne. I loro tre figli, che ormai sono grandi, hanno i loro problemi: Ryckmer, il più vecchio, è quello che soffre di più. Anche lui è stato in marina, ma dopo che la sua nave è stata quasi inghiottita da un’onda gigante non va più per mare e ha bisogno di una birra a colazione ogni mattina. Il romanzo intreccia le storie di ciascun componente della famiglia, che porta con sé i propri dubbi e le proprie preoccupazioni. Ma soprattutto Al mare è la storia di un’isola che cambia.
Die Tageszeitung
I processi alle streghe, con il loro miscuglio di fervore religioso, misoginia e desiderio represso, hanno sempre appassionato i romanzieri. Il leviatano, godibilissimo e documentatissimo debutto di Rosie Andrews, parte da questi procedimenti per fare qualcosa di davvero originale: in parte storia dell’orrore, in parte fantasy, in parte thriller storico. Siamo nel 1643, all’inizio della guerra civile inglese. Il narratore, Thomas Treadwater, un giovane che si è arruolato nelle forze parlamentari per coprire un piccolo scandalo, torna a casa a Natale, nel Norfolk, pieno di paura. Sua sorella, 16 anni, gli ha scritto di “un essere maligno e avverso a Dio” che è entrato nella loro casa, una nuova serva di nome Chrissa Moore. Tom arriva e scopre che tutto il bestiame è stato sterminato, suo padre è immobilizzato da un ictus e Chrissa è stata imprigionata per stregoneria. Per ritardare il processo la donna dice di essere rimasta incinta del suo padrone. Tom non crede nella stregoneria ma quando altre due serve accusate insieme a Chrissa vengono trovate morte deve accettare che sulla sua casa aleggino forze sinistre. I lettori sanno di più perché il racconto è interrotto da capitoli in cui Tom, sessant’anni dopo, vive nel terrore di una donna rinchiusa nella sua soffitta.
Stephanie Merritt, The Guardian
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