Fremont, nella Bay Area, è chiamata anche Little Kabul: ospita una delle più grandi enclave afgane negli Stati Uniti, in cui molti immigrati vanno in cerca di un senso di comunità. Ed è proprio quello di cui ha bisogno Donya (Anaita Wali Zada): comunione, connessione, amore. Merce rara in questi tempi atomizzati, soprattutto per lei, giovane rifugiata ed ex traduttrice per l’esercito statunitense. Ma vivere tra gli altri afgani non è di grande conforto, forse perché lei non ha bei ricordi del suo paese. Preferisce la routine del laboratorio dove lavora, dove producono biscotti della fortuna. Un giorno Donya scrive il suo numero di telefono su un bigliettino e lo infila in un biscotto. Il regista iraniano-britannico Babak Jalali, che ha scritto il film insieme a Carolina Cavalli, cattura la difficile situazione esistenziale di Donya con l’atmosfera asciutta dei film di Jim Jarmusch o Aki Kaurismaki, maestri dell’imperturbabilità intrisa di malinconia.
Beatrice Loayza, The New York Times
Stati Uniti 2023, 91’. In sala
Stati Uniti 2023, 113’. In sala
Un giallo allegro e croccante, una commedia romantica fuorilegge, un film per tutti in cui si cita Nietzsche e ci s’interroga in modo intelligente sulla natura (e la malleabilità) dell’identità. Come il suo camaleontico protagonista, Hit man di Richard Linklater può essere tutto quello che volete, ma fondamentalmente è un film davvero divertente. Il regista ha scritto la sceneggiatura insieme alla star del film, Glen Powell, prendendo alla larga una storia vera. Powell interpreta Johnson, un professore di filosofia e psicologia al college, un po’ nerd, divorziato, con due gatti e un entusiasmo esagerato per il bird-watching. Johnson collabora anche come “supporto tecnico” con la polizia di New Orleans e all’improvviso si trova a vestire i panni di un sicario per far arrestare i suoi potenziali clienti. In questo ruolo sotto copertura incontra Madison (Adria Arjona) e la convince a rinunciare all’idea di far uccidere il marito violento. Inevitabilmente tra i due scatta la scintilla. Powell fa un salto di qualità, da brillante attore non protagonista (Top gun: Maverick) a potenziale star e dà nuovo slancio alla figura un po’ trita del killer cinematografico.
Wendy Ide, The Observer
Anche se è considerato un documentario, il film della regista tunisina Kaouther Ben Hania è qualcosa di più complicato, di ibrido. Mescolando realtà e ricostruzione, attori professionisti e no, Quattro figlie nasce proprio dall’impossibilità di realizzare un documentario su una famiglia dilaniata. Olfa ha quattro figlie. Le due più grandi si sono unite al gruppo Stato islamico e hanno cercato di convincere le sorelle minori a seguire la loro strada, prima di finire a languire in una prigione. Ben Hania ha assunto tre attrici (una controfigura di Olfa e altre due per interpretare le sorelle maggiori) e le ha messe a confronto con i personaggi del documentario (Olfa e le figlie minori). In questo strano esperimento da laboratorio, la parola si libera, i cuori scoppiano, le emozioni fluiscono.
Jacques Mandelbaum, Le Monde
Regno Unito / Italia 2023, 121’. In sala
Robusto dramma storico ambientato durante il mandato britannico della Palestina. Un film che parla in modo complesso dell’attuale dibattito su Gaza, sostenendo che il sionismo del ventesimo secolo aveva radici anticolonialiste e antimperialiste favorite dall’odio verso i “padroni” britannici. Tuttavia è da questi ultimi che i sionisti hanno imparato l’abitudine alla spietatezza. Il film è basato sulla storia vera della scrittrice Shoshana Borochov, sionista e socialista, originaria dell’Ucraina cresciuta a Tel Aviv negli anni venti, che ebbe una relazione con un bonario agente britannico. Il film è messo in scena con intelligenza e cura. Ma la storia d’amore al centro della vicenda è stranamente sommessa, togliendo fuoco emotivo a tutto il resto. Sarei curioso di sapere che sarebbe riuscito a fare David Lean con una storia così.
Peter Bradshaw, The Guardian
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