Cultura Suoni
Ten days
Fred Again (dr)

Fred Again ormai non ha più niente da dimostrare. La sua stella è esplosa così rapidamente negli ultimi anni, portandolo a esibirsi nei festival più importanti del mondo, che qualcuno potrebbe immaginarlo sul punto di prendersi una piccola vacanza dal circo mediatico. E invece no. Il producer britannico ha appena pubblicato Ten days, il suo nuovo disco, nel quale si allontana dalla dance orecchiabile per approdare ad atmosfere più introspettive. Funziona? Questo è oggetto di dibattito. Anche se Ten days è sicuramente più rilassato di alcuni dei lavori precedenti, conserva il tono caratteristico della produzione di Fred Again: le note vocali del suo telefono vengono sovrapposte ai beat, come in una specie di diario. Il disco, infatti, racconta la storia di dieci giorni importanti nella vita dell’autore. Ci sono varie collaborazioni, come quella con Obongjayar in Adore u, mentre Fear less (con la voce di Sampha) sembra un omaggio ai viaggi estivi in macchina con gli amici. Più avanti il cantautore non binario irlandese Soak salta fuori in Just stand there per elogiare l’essere “vivo”. Una canzone da suonare a fine serata, quando tutti si stanno addormentando sul divano, a differenza dell’eccellente Glow, realizzata con i collaboratori abituali Duskus, Skrillex e Four Tet, che stratifica armonie su armonie per creare qualcosa di speciale. Ten days è un ascolto piacevole, un ottimo sottofondo. Sarebbe stato perfetto a giugno, ma con l’avvicinarsi dell’autunno servirebbe qualcosa di più propulsivo. Queste non sono le canzoni giuste.
Vicky Jessop, The Evening Standard

Oh my God - that’s so me
Okay Kaya (Dr)

Se nel precedente Sap del 2022 Okaya Kaya si rivolgeva a Dolly Parton, con Oh my God - that’s so me prende in considerazione i miti greci. In Picture this trasforma la storia di Sisifo nella fantasia di prendere il controllo della propria vita. Non ci attira tanto con i testi, anche se sono divertenti, quanto con quella voce che fa pensare che sia a corto di ossigeno: una languida polvere di stelle degna di Moon safari degli Air. Scritto e registrato su un’isola al largo di Oslo, nella nuova casa della musicista statunitense di origine norvegese, il suo quarto album non lascia mai versi laceranti sospesi a mezz’aria. Le sue osservazioni sulla sensazione di distacco che molte persone avvertono oggi sono avvolte dalla compassione. Questa canzoni buffe, strane e tenere sono nate sotto una luce più soffice rispetto ai dischi precedenti di Kaya Wilkins, vero nome dell’artista. Ad alcuni non piacerà l’assenza d’inquietudine ma non ci sono dubbi sulla sua abilità nel comporre melodie avvolgenti.
Laura Snapes, Pitchfork

Stockhausen: Mantra

Da ascoltare con delle ottime cuffie: è l’avvertimento che dovrebbe essere stampato su questo cd, che propone la seconda incisione del duo pianistico GrauSchumacher di Mantra di Karlheinz Stockhausen (1928-2007). Il disco vi mette davanti alla fantastica regia sonora dell’Swr Experimentalstudio e il mondo del compositore tedesco non è mai stato tanto evidente. Questa nuova versione non ha nulla a che vedere con quella pioneristica dei fratelli Kontarsky (1971) e neanche con quella che GrauSchumacher avevano pubblicato nel 1995. Basato su una formula di tredici note, Mantra matura con il passare degli anni e oggi questi pianoforti metamorfizzati dall’elettronica trovano colori inattesi: c’è un punto galattico nel suono delle tastiere ermetiche ma luminose che si dipana alla ricerca di una rara forma di bellezza. Come in altre partiture di Stockhausen, tutto è partito da un sogno: l’esperienza dei monaci di Taizé e dei rituali buddisti. La profondità del registro esalta una musica che cerca ripetutamente il suo climax, una forma d’estasi che si apprezza solo quando l’ascolto supera l’ora di durata. Con questo album Mantra s’impone definitivamente come opera di riferimento del novecento.
Ismael G. Cabral, Scherzo

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1580 - 13 settembre 2024

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