Cultura Suoni
Sable
Bon Iver (Erinn Springer)

Sono passati più di cinque anni dall’uscita dell’ultimo album dei Bon Iver, I, I. E forse è questo il motivo per cui il nuovo ep del progetto dello statunitense Justin Vernon, intitolato Sable, si apre con un lungo suono acuto che sembra quello di una sirena, quasi a risvegliare l’ascoltatore. Poi arrivano le percussioni soffici e la chitarra suonata in finger picking di Things behind things behind things, che aprono la strada al baritono di Vernon. Le riflessioni su natura, nostalgia, relazioni e religione hanno vissuto a lungo nel cuore dei Bon Iver. Le abbiamo ascoltate per la prima volta nell’album di debutto For Emma, forever ago, registrato nel 2007 in una baita nei boschi del Wisconsin. Da allora sono cambiate molte cose, ma Vernon non si è mai sentito a suo agio con la grande fama raggiunta. E questo ep è stato preceduto da una crisi artistica che l’ha portato a pensare di ritirarsi dalle scene. Forse è per questo che nei tre brani si percepiscono una certa angoscia e paura dei cambiamenti. Il pezzo Spey­side è un ritorno alle origini uomo-chitarra che si sarebbe adattato bene al debutto, anche se manca il falsetto che accompagna le vecchie canzoni. Il problema è che questo ritorno alle origini avviene a metà. La canzone finale, Awards season, è più poesia che melodia. Justin Vernon probabilmente pensa di aver resettato tutto. Per tutti gli altri, forse, c’è ancora qualcosa da fare.
Dave Campbell, Associated Press

Clouds in the sky they will always be there for me
Porridge Radio (Steve Gullick)

I Porridge Radio tornano con il loro quarto album, dopo lo splendido Waterslide, diving board, ladder to the sky del 2022, ma che sicuramente lo batte nella lunghezza del titolo. Scherzi a parte, la band di Brighton è una delle realtà più solide di questi tempi e quell’atteggiamento da sfigati indie rock vi conquisterà e non vi lascerà più. Molto del loro fascino deriva dalla leader Dana Margolin, che con la voce rotta e i testi poetici irradia passione e malinconia, mentre con la chitarra danza tra momenti sottili, oscuri e catartici. Il resto del gruppo completa Margolin con cori, tastiere, percussioni e linee di basso che aleggiano leggere ma a volte esplodono. Questo lavoro è meglio del precedente? Entrambi guadagnano da ascolti ripetuti, quindi solo il tempo ce lo dirà. I fan comunque lo ameranno e chi lo ascolterà per la prima volta e s’innamorerà della sua potenza avrà un bel catalogo da divorare.
Christopher Sneddon, The Skinny

Per tutta la sua lunga carriera il pianista ceco Rudolf Firkušný (1912-1994) è stato dedito a musica che suggerisce più delle confidenze intime che grandi sale da concerto. Le registrazioni dell’opera di Leoš Janáček, per piano solo o con un piccolo ensemble, affascinano sempre per la loro fusione di schiettezza e mezze tinte. Sono il cardine di questo cofanetto dedicato a registrazioni fatte per Deutsche Grammophon, Decca e Westminster tra il 1960 e il 1975, complemento ideale della raccolta che la Sony aveva dedicato ai dischi Columbia degli anni cinquanta e Rca degli anni ottanta. Offre un perfetto riassunto del repertorio e delle qualità dell’interprete, soprattutto la grande eleganza e la chiarezza assoluta del discorso musicale. Il Ravel del 1960 è una rivelazione. L’ultima sonata di Schubert parla con il cuore, anche se forse un po’ troppo fiducioso per gli abissi dell’andante. Un Beethoven con tanta classe quanto nerbo (un Imperatore del 1973 e tre sonate) ci ricorda che Firkušný aveva studiato con Artur Schnabel. Le sonate per violoncello di Brahms con Pierre Fournier sono un modello di signorilità e quelle per violino di Beethoven con Erica Morini, con il suo archetto così viennese, sono una lezione di stile (ci offrono anche due sonate di Mozart di una grazia infinita). Questo cofanetto è un ritratto avvincente.
Laurent Muraro, Diapason

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1586 - 25 ottobre 2024

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