Le prime pagine dell’ultimo romanzo di Abdellah Taïa raccontano un interrogatorio di polizia. Il protagonista, Mounir Rochdi, ha appena avuto una discussione con la sua vicina, la signora Marty. E ora, gli agenti sono alla sua porta. Siamo in Francia, nel 2016, poco dopo gli attacchi che hanno colpito Parigi. La svolta kafkiana del romanzo è già in corso: ogni mossa diventa sospetta. “È strano, però… Vivere in un appartamento così bello e non fare nulla per arredarlo… È strano…”. Tra la signora Marty e Mounir, tuttavia, non c’era diffidenza, ma piuttosto uno “strano legame”. Forse dovuto al fatto che erano entrambi poveri: “La signora Marty viveva nelle stesse condizioni di alcuni immigrati”. Il lettore segue i pensieri e le peregrinazioni di Mounir, immerso nella sua nuova situazione di sospettato. Prigioniero degli stereotipi degli agenti su di lui, è assalito dall’amore – per un poliziotto – e dai dubbi. Come in altri romanzi di Taïa, le donne occupano un posto speciale. Spesso sono meno violente del resto della società, che le condanna, le disprezza e le mette in disparte. Le questioni di genere e la sessualità attraversano l’opera di Taïa che scrive a partire dalla sua esperienza personale e a volte presta ai suoi protagonisti tratti autobiografici. In Marocco, ha incarnato la lotta per i diritti dei gay. Nato a Salé, vive a Parigi da diversi anni. Il suo stile – il caleidoscopio di punti di vista narrativi, le storie intrecciate, la ripetizione delle parole, le interruzioni, i pensieri e i dialoghi intercalati, gli spostamenti da un tipo di discorso all’altro – può allontanare alcuni lettori. L’andirivieni tra dimensioni ben distinte, il reale, il sogno, il passato, i ricordi, offre una dimensione poetica al romanzo, ma rischia di portarci fuori strada. Jules Crétois, Jeune Afrique
“L’unico problema che aveva erano gli uomini, che le davano fastidio costantemente”: potrebbe essere il motto dell’ultimo romanzo di Jami Attenberg. La frase è pronunciata da Twyla, la nuora di un gangster misogino, Victor Tuchman, che sta morendo. Non è la sola a sentirsi così nei confronti degli uomini in generale, e di Victor in particolare. Anche la moglie di Victor, Barbra, e la figlia, Alex, si sono riunite per vedere se l’uomo che ha reso le loro vite miserabili morirà, e per capire quanto davvero gliene importi. Questa storia parla di loro. La maggior parte del romanzo si svolge in un solo giorno, subito dopo che Victor è stato ricoverato per un attacco di cuore. L’ambientazione è l’attuale New Orleans, dove Victor e Barbra si sono trasferiti dopo una lunga vita in una villa nel Connecticut, apparentemente per essere vicini al figlio Gary e a sua moglie e sua figlia, Twyla e Avery. Ma Victor è un uomo ingannevole, anche per i suoi figli. Ed è cattivo. Anche se non ci è rivelata l’esatta natura dei suoi crimini, apprendiamo che era un gangster del New Jersey, un marito e un padre violento, un donnaiolo, un tiranno e probabilmente uno stupratore. Sono le donne intorno a Victor – Barbra, Alex e Twyla – che devono sopportare l’uragano della sua vita, che devono cercare di amarlo, di renderlo felice, di proteggerlo, e che sono tutte rimproverate e aggredite da lui.
Ben Libman, The Guardian
Dopo l’esordio di Occhi di acqua, il giovane scrittore galiziano Domingo Villar torna con un romanzo profondo e umano come il precedente, ma più intenso, armato di maggiori risorse espressive, dotato di sfumature più sottili quando si tratta di dare profondità ai suoi personaggi, alle loro relazioni e al paesaggio in cui sono iscritti. I suoi protagonisti sono l’ispettore Leo Caldas, del commissariato di Vigo, e il suo assistente, un rozzo aragonese con la missione di mitigare la tendenza del capo alla moderazione. Sulla spiaggia di Panxón compare un cadavere: un pescatore di cui i vicini riescono solo a dire che era “troppo riservato”. Tutto farebbe pensare al suicidio, se non che l’uomo ha le mani legate. Ma non sono i morti a ferire l’ispettore, sono i vivi, e nel suo nuovo viaggio non vuole solo trovare un colpevole: vuole anche scoprire le ragioni profonde, e queste risalgono a qualcosa che è successo una notte di dicembre del 1996. Lo sguardo del detective ci fa indovinare, dietro l’accurata messa in scena, il paesaggio marittimo che impregna tutto, il mondo marinaro e le sue speciali idiosincrasie.
Pilar Castro, El Mundo
C’è stato un tempo in cui conoscevamo tutti i nostri vicini, i loro nomi, i loro figli, entravamo nelle loro case. Eravamo a tal punto parte della vita degli altri che non c’erano personaggi secondari. In quel tempo della nostra infanzia, tutte le vite avevano la dignità e il mistero di un’epopea. È questo tempo, perduto per sempre, che riscopriamo in Amélia, un sobborgo creato dall’autore a partire dal quartiere dove è cresciuto. Il suo romanzo ha una dimensione politica, perché non si limita a raccontare una bella storia, ci costringe a pensare criticamente al Portogallo. I personaggi di questo libro provengono da un luogo poco esplorato nella letteratura portoghese: i quartieri sociali, le città suburbane che gravitano intorno a Lisbona. Luoghi dove vagano figure in equilibrio tra iperrealtà e fantasmagoria. La profonda umanità di questo ritratto del Portogallo degli anni ottanta è fatta di piccoli dettagli altamente simbolici. Entrare ad Amélia è come conoscere il nome e la storia dei nostri antenati. Joana Emídio Marques, Observador