L’irruzione degli scienziati in televisione spesso ha disturbato quelli che in televisione ci stanno da sempre per scilinguagnolo umanistico. Forse il piccolo esercito giornalisticostoricofilosoficoletterario riteneva di avere per sempre l’esclusiva televisiva e invece ha scoperto che quelli dell’altra cultura stavano entrando in forze, complice la pandemia, nella nobile corte di chi non deve dire né nome né cognome al mondo perché il mondo, solo a vederli, sa. Le parole ricorrenti sono state: hanno scoperto la televisione e non ne vogliono uscire più, pronunciate tra l’altro con sarcasmo proprio da chi in tv ci pernotta, pronto a ricominciare con le trasmissioni del mattino. Una difesa del territorio? Il fastidio dei vecchi plenipotenziari televisivi nei confronti dei nuovi che, pur mettendo a frutto una collocazione lavorativa oscura e competenze ostiche, riescono a produrre il bene dell’audience come e certe volte meglio di loro? Comunque sia, viene da augurarsi che i più dotti tra gli scienziati si impongano e durino, per il nostro bene di spettatori, più della pandemia. E che anzi comincino a dirci la loro, che so, sulla fisica quantistica applicata all’economia e alla politica, sulla biologia della creazione artistica, su cosa accade ai corpi quando muoiono per acqua nel Mediterraneo. Forse lo spettacolo della chiacchiera diventerebbe più interessante.

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Questo articolo è uscito sul numero 1413 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati