Editoriali

L’Europa può tenere testa a Putin

Chi pensava che Vladimir Putin non avrebbe usato il gas come un’arma contro l’Europa si è dovuto ricredere. Non c’è una ragione tecnica per la chiusura a tempo indeterminato del gas­dotto Nord Stream 1. Il Cremlino cerca di danneggiare l’economia dell’Unione per colpire la solidarietà dei paesi europei verso l’Ucraina e costringerli a smettere di sostenere Kiev. La strategia, almeno a breve termine, appare vincente: l’aumento del prezzo dell’energia sta avendo pesanti ricadute sulle famiglie e sulle aziende del continente. L’economia europea rischia di finire nel pantano della stagflazione, cioè la somma di inflazione e recessione. I mercati finanziari si preparano al peggio, il valore di euro e azioni precipita. Le voci che chiedono la revoca delle sanzioni si fanno sempre più forti.

È comprensibile che Putin porti avanti questa guerra economica. Dopotutto, anche le sanzioni contro la Russia sono state una sorta di dichiarazione di guerra. Finora la loro efficacia è stata discutibile: l’economia e la macchina da guerra russa continuano ad andare avanti, ma gli esperti sono convinti che cederanno entro l’inizio del 2023. Per il momento però Putin può far finta che siano solo gli europei a soffrire. Grazie ai maggiori guadagni dalle esportazioni di gas e petrolio, la sua posizione è così forte che può rinunciare al mercato europeo. Gli effetti della guerra economica in Europa non sono niente in confronto a quello che succede in Ucraina, ma sono comunque drammatici. È ora che i leader europei se ne rendano conto e preparino i cittadini alle difficoltà delle settimane e dei mesi a venire. I sussidi miliardari e i limiti al prezzo dell’energia non basteranno a far scomparire il problema. Solo una linea coordinata, sia all’interno degli stati sia tra loro, potrà ammortizzare il colpo. La Commissione europea deve svolgere il suo ruolo di guida con più determinazione che mai, e i governi devono sottostare a una strategia comune, invece di prendere iniziative autonome.

Bisogna mandare due messaggi ai cittadini. Il primo è che l’Europa deve tenere duro e non rinunciare alle sanzioni. Se Putin riuscisse a spezzare il fronte occidentale, l’Unione si consegnerebbe al volere di un brutale dittatore. Il secondo è che questa battaglia può essere vinta. Putin sta accelerando gli sforzi dell’Europa per liberarsi dalla dipendenza dal gas e dal petrolio russo. A quel punto sarà Mosca a pagare il prezzo più alto, e l’Ucraina avrà almeno una piccola speranza di pace. ◆ nv

Tutto da rifare in Cile

Con il 62 per cento di no il popolo cileno ha bocciato in modo inequivocabile la nuova costituzione redatta per sostituire quella adottata durante la dittatura di Augusto Pinochet. È un duro colpo per il presidente Gabriel Boric, che sperava di usare la nuova carta come base per le riforme che ha promesso.

Ma la democrazia cilena esce rafforzata dal voto. Il rifiuto della costituzione è stato deciso dalla maggioranza dei cittadini e dev’essere rispettato, come ha fatto Boric in modo lodevole. È attraverso un percorso democratico che si è manifestato il desiderio di cambiamento, prima nelle strade, con la rivolta sociale del 2019, e poi alle urne, quando quasi l’80 per cento dei votanti ha approvato l’inizio dei lavori per una nuova costituzione. Così come la democrazia ha permesso di incanalare il malcontento, ha anche consentito al popolo di dire “no” a una carta politica che non riflette la portata e il carattere del cambiamento che desidera. È chiaro che il Cile vuole un cambiamento, ma alcune delle proposte sono state ritenute troppo radicali. La definizione di stato plurinazionale, l’abolizione del senato, l’introduzione del diritto all’aborto e in generale il ruolo dello stato nella fornitura di beni e servizi e nella tutela dei diritti, così come sono stati proposti, hanno suscitato più incertezza che fiducia.

Per Boric, che ha promesso di riprovarci, il compito si annuncia difficile, vista la polarizzazione del paese e l’enorme distanza tra le forze politiche. Prima di tutto bisognerà definire il percorso del processo costituente – attraverso il parlamento o una nuova assemblea costituente – e poi trovare un consenso minimo tra tutte le componenti della società per costruire insieme una definizione di trasformazione che soddisfi tutti. Per questo sarà necessario abbandonare le posizioni massimaliste del “tutto o niente”. ◆ as

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