Editoriali

In Ucraina è l’ora di scegliere

Il dibattito sulle forniture di armi occidentali all’Ucraina riguarda anche una domanda fondamentale che dopo quasi un anno di guerra non ha ancora trovato risposta: qual è l’obiettivo della Nato? Impedire una vittoria russa, come la Germania e altri paesi europei hanno cautamente sostenuto? Oppure sconfiggere la Russia e aiutare l’Ucraina a vincere, come dicono la Polonia, i paesi baltici e ora anche gli Stati Uniti?

Nel primo caso, la guerra dovrebbe essere portata avanti solo fino a quando Mosca accetterà di negoziare un accordo che garantisca la sopravvivenza dello stato ucraino. La Crimea e gran parte del Donbass resterebbero sotto il controllo russo e il fronte attuale sarebbe congelato. Un prezzo alto per l’Ucraina, ma meglio di uno spargimento di sangue infinito, è l’argomentazione.

La seconda opzione significa dare a Kiev i mezzi per liberare tutto il suo territorio, compresa la Crimea, in conformità al diritto internazionale, alle richieste del presidente Volodymyr Zelenskyj e alla volontà della maggioranza degli ucraini. Secondo chi la sostiene, inoltre, sarebbe l’unico modo per fermare l’espansionismo russo, garantire una pace duratura e scoraggiare altre aggressioni. Ma anche se i politici occidentali giurano che spetta all’Ucraina decidere, questa ipotesi spaventa molti di loro. Oltre al pericolo di un’escalation nucleare, temono anche gravi disordini in Russia nel caso in cui Vladimir Putin subisca una sconfitta totale in Ucraina. Uno stato fallito con migliaia di testate nucleari è una prospettiva terrificante.

Gli alleati devono tenerlo a mente ora che si tratta di decidere se consegnare all’Ucraina carri armati e altri armamenti che servono più a riconquistare territori che a difenderli. Una vittoria di Kiev sarebbe il modo più rapido di mettere fine alla guerra. Ma perché questo succeda bisogna superare le esitazioni. Se gli alleati consegneranno un po’ di carri armati, ma non troppi, l’unico effetto sarà prolungare il conflitto.

Finora in Russia non è emerso nessun interlocutore con cui parlare seriamente di un accordo di pace. Neanche Putin sembra più sicuro di cosa vuole ottenere in Ucraina. Ma se Stati Uniti ed Europa non intendono impegnarsi a sostenere la completa liberazione dell’Ucraina, dovrebbero dirlo apertamente e non lasciare che Zelenskyj li trascini in un conflitto che non vogliono. Altrimenti è ora che la Germania e gli altri alleati di Kiev smettano di frenare sulla consegna delle armi. ◆ gac

Dialogo necessario per Caracas

L’economia non dà tregua al Venezuela. Nonostante un miglioramento rispetto agli anni peggiori della crisi e la lenta ripresa del settore petrolifero, le previsioni ottimistiche con cui si era chiuso il 2022 non si stanno realizzando. Il pa­ese affronta il rischio dell’iperinflazione e la produzione di greggio continua a stentare. Sono ricominciate anche le proteste dei lavoratori, che chiedono al governo di Nicolás Maduro salari più alti. Le mobilitazioni arrivano mentre è in corso il negoziato tra il chavismo al potere e l’opposizione, un tentativo di dialogo ostacolato dalla reticenza degli Stati Uniti a sbloccare le risorse statali congelate all’estero.

Le manifestazioni non hanno un carattere strettamente politico: la priorità sono le condizioni materiali, soprattutto dopo anni di gestione economica catastrofica e sanzioni internazionali. Alle proteste partecipano professionisti, tecnici e lavoratori della scuola, della sanità, del settore siderurgico e metalmeccanico, dipendenti pubblici e pensionati. Il salario minimo percepito da gran parte dei dipendenti pubblici è di 130 bolívar al mese, circa 6,5 euro. Anche se la cifra è più alta rispetto al passato, è irrisoria di fronte all’aumento dei prezzi. Milioni di persone dipendono dagli aiuti statali, creando un meccanismo che favorisce i militanti e i simpatizzanti chavisti.

La vera urgenza per il governo è affrontare una situazione insostenibile. Alla fine di novembre il dialogo aperto in Messico aveva portato a un accordo per arginare la crisi umanitaria: era stato un segnale incoraggiante, ma ora il rifiuto del chavismo di proseguire se Washing­ton non velocizzerà lo sblocco dei fondi, insieme alla situazione caotica dell’opposizione, hanno complicato il negoziato. È fondamentale fare il possibile per tornare a dialogare e alleviare le sofferenze della popolazione. ◆ as

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1496 - 27 gennaio 2023
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