Editoriali

Fermare la guerra di Israele

L’opinione pubblica israeliana deve guardare dritto in faccia quello che i soldati fanno in suo nome nel nord della Striscia di Gaza. All’inizio di ottobre l’esercito ha annunciato un’operazione militare e ha sottoposto l’area intorno alle città di Jabalia, Beit Hanun e Beit Lahia a un rigido assedio. “Un assedio nell’assedio dentro un altro assedio”, l’ha definito un funzionario delle Nazioni Unite. Questo significa che nessuno può entrare nell’area, neanche le organizzazioni umanitarie internazionali. Agli abitanti è stato ordinato di spostarsi a sud, in base al cosiddetto “piano dei generali”, anche se ufficialmente Israele nega di seguirlo. L’idea di base è mandar via gli abitanti, dichiarare l’area una zona militare chiusa e poi stabilire che chiunque rimane sarà considerato un terrorista e potrà essere ucciso.

Molti abitanti temono che non potranno più tornare, mentre altri non sono riusciti ad andarsene. L’Onu e alcune organizzazioni umanitarie hanno avvertito che la situazione è “apocalittica” e che “l’intera popolazione nel nord di Gaza rischia di morire presto per malattie, fame e violenza”. L’esercito impedisce l’ingresso ai camion di aiuti umanitari; solo alle ambulanze è permesso di trasportare i feriti più gravi all’ospedale della città di Gaza. E l’esercito ha imposto a tutti i servizi di soccorso civile di lasciare l’area. La carestia, la distruzione degli ospedali e il disastro umanitario causano danni smisurati ai civili. L’opinione pubblica israeliana non è quasi mai informata su questi eventi, e in ogni caso ha dimostrato una totale indifferenza.

La guerra procede nel disprezzo del diritto internazionale. È come se a Gaza non ci fossero civili né bambini e non ci fosse alcuna conseguenza per le azioni israeliane. Il desiderio di vendicare l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 si è trasformato in una guerra brutale e incontrollata che viola gravemente il diritto e sarà ricordata come una macchia sulla coscienza del paese. Inoltre, la distruzione di case ed edifici nel nord della Striscia e i preparativi che l’esercito fa per mantenere il controllo del territorio, asfaltando strade e installando infrastrutture, indicano che Israele si prepara a un’annessione di fatto e alla creazione di insediamenti come in Cisgiordania.

Israele deve abbandonare il piano dei generali e mettere fine al disastro umanitario. È arrivato il momento di fare un tentativo autentico di firmare un accordo per liberare gli ostaggi e mettere fine alla guerra. ◆ fdl

Più umanità per i migranti

Nell’Unione europea le soluzioni per gestire l’arrivo di migranti irregolari potrebbero dipendere da alcuni casi in discussione in Italia. L’11 novembre un tribunale di Roma ha stabilito che sette richiedenti asilo dovevano essere riportati nella penisola da un centro di detenzione in Albania. A ottobre era stata presa una decisione simile per altre dodici persone. Questi casi evidenziano un problema nei due modi proposti per gestire l’immigrazione irregolare nell’Unione. Il primo è far esaminare le domande d’asilo all’esterno dei suoi confini prima ancora che i richiedenti arrivino; il secondo è affidare a paesi terzi la detenzione dei migranti irregolari e la valutazione delle loro domande d’asilo. In entrambi i casi va trovato un equilibrio tra lo stato di diritto e la solidarietà. In Europa è vietato respingere i migranti in paesi dove corrono dei rischi, quindi bisogna stabilire quali paesi sono considerati sicuri. L’11 novembre i giudici italiani hanno chiesto chiarimenti alla corte di giustizia dell’Unione europea. Le 19 persone riportate in Italia dall’Albania venivano da Bangladesh ed Egitto, due paesi considerati sicuri dal governo italiano. Ma fino a che punto? Nell’ultimo anno l’immigrazione irregolare verso l’Europa si è ridotta, e oggi è inferiore a dieci anni fa. L’ascesa dell’estrema destra ha però rafforzato l’idea che si debba esternalizzare il problema. I Paesi Bassi vorrebbero mandare i migranti in Uganda; la Germania in Ruanda. Il Regno Unito e la presidente della Commissione europea hanno appoggiato le misure prese dall’Italia.

Ora la decisione sulla direzione che dovranno prendere le politiche migratorie è nelle mani dei giudici europei. “La gestione delle frontiere e il diritto d’asilo non sono in contrasto”, ricorda Charlotte Slente, del Danish refugee council, “ma sono entrambi essenziali al progetto europeo e all’umanità che ci unisce tutti”. ◆ as

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1589 - 15 novembre 2024
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